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Inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul Decreto Sicurezza (C. Cost. 194/2019)

Cinque regioni ricorrono in via principale davanti alla Corte Costituzionale contro il DL 113/2018 (Decreto Sicurezza), lamentando lesioni nel campo dei diritti fondamentali, del principio di uguaglianza e ragionevolezza, degli obblighi internazionali .

La domanda delle Regioni non riguarda però violazioni dirette del riparto di competenza tra Stato e Regioni, così come definito dal Titolo V della Costituzione, ma si focalizza sugli effetti indiretti che gli articoli. 1 (norma che abolisce il permesso umanitario), 12 (norma che esclude dal sistema SPRAR i richiedenti asilo) e 13 (norma che toglie ai richiedenti asilo il diritto alla residenza) del Decreto Sicurezza hanno sull’esercizio delle funzioni regionali.

 

La ridondanza

A quali condizioni è possibile per le Regioni sollevare questioni che esulino il tema diretto della competenza?

Centrale è, in questo caso, il tema della “ridondanza”, ovvero delle modalità secondo le quali una Regione può essere legittimata a far valere in giudizio la violazione di norme diverse da quelle contenute nel Titolo V della Costituzione.

Tale caso si verifica quando la violazione sollevata “ridondi” indirettamente nella sfera di attribuzione regionale, andando a produrre conseguenze negative sull’operato regionale.

La ridondanza, però, va argomentata con specifici riferimenti ovvero, ci dice la Corte, deve essere dimostrato in concreto l’effetto che essa ha sulle competenze regionali.

«[i]n questi casi, […] grava sulla Regione ricorrente un onere motivazionale particolare, ossia quello di dimostrare, in concreto, ragioni e consistenza della lesione indiretta delle proprie competenze, non essendo sufficiente l’indicazione in termini meramente generici o congetturali di conseguenze negative per l’esercizio delle attribuzioni regionali».

 

La Corte rigetta

Conseguenza del criterio sopra esposto è la dichiarazione di inammissibilità delle specifiche questioni in tema costituzionale sollevate contro il Decreto Sicurezza.

Come detto, le Regioni prospettavano lesioni indirette alle loro competenze, lamentando che le modalità attraverso le quali lo Stato aveva esercitato le proprie competenze legislative, avrebbero condizionato l’esercizio di numerose competenze legislative regionali, in materia di assistenza sociale, tutela della salute, formazione e politiche attive del lavoro, istruzione ed edilizia residenziale pubblica.

La Corte invece ritiene che tutte le questioni sollevate siano inammissibili per difetto di motivazione sull’asserita lesione indiretta, rivestendo le questioni sollevate un mero “carattere ipotetico ed eventuale“.

– in merito all’articolo 1 del DL 113/2018 (norma che abolisce il permesso umanitario) non vi sarebbe la riduzione di tutela che, secondo le Regioni, deriverebbe dal passaggio dal permesso di soggiorno umanitario “generico” ai casi speciali di permesso umanitario, perché le Regioni potrebbero comunque continuare ad erogare prestazioni sociali alle persone che si trovino in situazione di soggiorno irregolare;

– in merito all’articolo 12 (norma che esclude dal sistema SPRAR i richiedenti asilo) la Corte Costituzionale sottolinea che lo SPRAR resta sostanzialmente invariato in merito a organizzazione, ampiezza della rete territoriale e modalità di accesso da parte degli enti locali. Le modifiche apportate dall’articolo 12 implicano solo un cambiamento nella «platea dei soggetti ammessi a beneficiare dell’accoglienza territoriale» (adesso i richiedenti asilo ne sono esclusi) ma nessuna delle norme impugnate importa obblighi, divieti o condizionamenti, a carico delle Regioni e dei Comuni, tali da impedire loro di esercitare, anche a favore dei richiedenti asilo al di fuori del sistema territoriale di accoglienza – le proprie attribuzioni legislative o amministrative

– in merito all’articolo 13 (norma che toglie ai richiedenti asilo il diritto alla residenza), la Corte reputa insufficienti le argomentazioni delle Regioni ricorrenti (che si limitano a “postulare un’astratta attitudine delle norme contestate a incidere su ambiti assegnati alla Regione e agli enti locali, ma di tale incidenza non danno conto in maniera che essa possa essere valutata da questa Corte”), che ritenevano che tale disposizione avrebbe illegittimamente ristretto la platea di coloro che potessero accedere ai servizi territoriali locali in materia di lavoro, formazione professionale, tutela della salute, istruzione.
Infatti, secondo la Corte, le Regioni possono erogare prestazioni anche agli stranieri in posizione di irregolarità e possono farlo senza che ciò interferisca in alcun modo con le regole per il rilascio del permesso di soggiorno, che restano riservate alla legge statale sulla base della competenza esclusiva in materia di «immigrazione» e «diritto di asilo».

Pertanto, “non sarebbe comunque impedito oggi alle Regioni di continuare a offrire alle medesime persone le prestazioni in precedenza loro assicurate nell’esercizio delle proprie competenze legislative concorrenti o residuali” e non si rileva la “dimostrazione in concreto” della sollevata lesione indiretta alle loro competenze.

I ricorsi sono stati avanzati in maniera frettolosa, sulla base di una ratio puramente teorica priva di argomentazione giuridica e che la Corte ritiene non sufficientemente sviluppata per poter fornire un giudizio di costituzionalità” [Gabriele Conti].

 

Corte Costituzionale – Sentenza n. 194/2019 (in .pdf) scaricabile:

Corte Costituzionale – Sentenza n. 194-2019

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