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L’arresto non è consentito se il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere (Cassazione n. 6626/2020 – Carola Rackete)

L’arresto in flagranza è un intervento straordinario che, nei soli casi eccezionali di assoluta necessità ed urgenza tassativamente indicati dalla legge, consente alla polizia (o al pubblico ministero) di limitare la libertà personale (costituzionalmente garantita) di soggetti che ragionevolmente appaiano autori di un reato.

L’arresto deve essere comunicato entro 48 ore all’autorità giudiziaria e convalidato nelle successive 48 ore: il provvedimento di convalida ha lo scopo di appurare che le forze di polizia abbiano fatto un uso ragionevole dei poteri loro conferiti (nell’ambito della discrezionalità loro consentita) in presenza dei presupposti legali necessari per procedure al fermo.

Per tale operazione di convalida, e -di conseguenza- per valutare l’operato dei pubblici ufficiali e legittimare il loro operato, il giudice deve calarsi nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto e tenere conto della situazione conosciuta dalla polizia al momento del fatto: la convalida è quindi solo un “controllo di mera ragionevolezza” che nulla ha a che vedere con l’arresto cautelare (dove il giudice, su richiesta della pubblica accusa, decide se adottare o meno misure cautelari sui presupposti di gravità indiziaria forniti) né tanto meno è un apprezzamento sulla responsabilità del soggetto arrestato, aspetto -questo- totalmente riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito.

 

Convalida dell’arresto

La Cassazione, in risposta al ricorso presentato dal Pubblico Ministero della Procura di Agrigento, sottolinea come la decisione di non convalidare l’arresto di Carola Rackete presa dal GIP di Agrigento con Ordinanza datata 2 luglio 2019, sia stata una decisione corretta.

Secondo la Cassazione non vi erano infatti i presupposti la convalida dell’arresto, poiché si era chiaramente in presenza della casistica prevista dall’art. 385 cod. proc. pen. che prevede che l’arresto o il fermo non siano consentiti quando appaia che il fatto sia stato compiuto nell’adempimento di un dovere (articolo 51 codice penale) o nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in presenza di una causa di non punibilità.

Carola Rackete doveva pertanto adempiere al dovere di soccorso dei naufraghi raccolti in alto mare, dovere che non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi ma nella loro conduzione in un porto sicuro.

A disporlo sono le norme di rango internazionale in tema di soccorso in mare [tra le quali si ricordano la “Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare” (SOLAS – Safety Of Life At Sea), la “Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare” (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea) e la “Convenzione Internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo” (SAR – Search and Rescue)], ratificate dall’Italia, di carattere vincolante ed interamente applicabili a norma del diritto italiano

Tali norme fungono da causa di giustificazione di un comportamento normalmente ritenuto antigiuridico (ovvero la manovra unilaterale di attracco della Sea Watch 3, con conseguente schiacciamento della motovedetta della Guardia di Finanza contro la banchina del porto) e sono idonee ad escludere la rilevanza penale di tale comportamento.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, è sufficiente un elevato grado di probabilità che il fatto sia stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione (quale -appunto- il dovere di soccorso dei naufraghi) per escludere la ragionevolezza dell’arresto.

Nel caso specifico, la causa di giustificazione, secondo la Cassazione, era più che “verosimilmente” esistente sulla scorta delle circostanze di fatto conosciute o conoscibili con l’ordinaria diligenza dalle forze di polizia, che non avrebbero dovuto procedere alla misura privativa della libertà personale del capitano della Sea Watch 3.

 

La nave non è un “luogo sicuro”

A differenza di quanto teorizzato dal PM di Agrigento, che riteneva che il termine “place of safety” (“luogo sicuro” o “porto sicuro”) non dovesse necessariamente avere il significato di “terra ferma”, potendo anche indicare più semplicemente un luogo dove offrire adeguata assistenza alle persone salvate, senza imminenti pericoli di danno grave per le persone (quale una nave, ad esempio), la Cassazione ribadisce che l’attività di salvataggio in mare delle persone in pericolo non si esaurisce con il loro recupero a bordo della nave.

L’obbligo di prestare soccorso dettato dalle convenzioni internazionali comporta infatti anche l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un “place of safety” che, laddove le persone soccorse in mare, oltre che naufraghi si possano qualificare – in termini di status – anche come “rifugiati/richiedenti asilo”, deve anche garantire il rispetto dei “diritti di protezione internazionale” accordati ai rifugiati e ai richiedenti asilo dalle normative internazionali (come ad esempio la “Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiati”).

Secondo la Cassazione, la nave non può quindi essere qualificata come un ” place of safety ” perché, oltre al fatto di essere in balia degli eventi meteorologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare, che hanno appunto diritto -non appena salvati- a presentare domanda di protezione internazionale.

 

Il naviglio della Guardia di Finanza non è una nave da guerra

Da ultimo, la Cassazione sancisce che le navi della Guardia di Finanza sono sicuramente da considerarsi come navi militari, ma tale qualifica non può automaticamente farle ritenere anche da navi da guerra.

Per essere “navi da guerra” le navi della Guardia di Finanza devono anche “appartenere alle Forze armate”, “portare i segni distintivi esteriori delle navi militari”, ed essere “poste sotto il comando di un ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali”, cosa quest’ultima non ravvisabile nel caso in specie dato che il maresciallo che era al comando non era un “ufficiale di Marina”.

Cade così anche l’ipotesi di reato di cui all’art 1100 cod. nav., ovvero “atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale” per aver intrapreso manovre evasive ai reiterati ordini di alt imposti dalla Guardia di Finanza e per aver diretto la Sea Watch 3 verso la banchina del molo commerciale e avere ormeggiato incuranti del fatto che la banchina fosse già occupata dall’imbarcazione dei finanzieri.

 

Corte di Cassazione – Sezione Terza Penale – Sentenza n. 6626/2020, in .pdf (scaricabile):

Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale - Sentenza n. 6626-2020 (Rackete-SeaWatch3)

One Comment

  • Gigi

    29 Marzo 2020 at 7:20

    La cassazione si è coperta di ridicolo e di vergogna, questa non è una sentenza e non ha nessuna base giuridica. Alla cassazione vengono dalle Brigate Rosse, hanno visto che la Rackete viene dalle Brigate Rosse come loro e gli hanno garantito la più scandalosa e ridicola impunità. Rackete non stava adempiendo nessun dovere: la nave era all’interno del porto di Lampedusa, i malati erano già stati fatti scendere, avevano cibo, acqua, assistenza medica e tutti compreso Salvini davano per scontato che mancavano poche ore allo sbarco. Rackete tra l’altro ha attraccato in piena notte, senza avvertire, senza dare segnali luminosi o sonori come fa una ambulanza in emergenza. Quindi il reato era chiaramente premeditato e doloso. Per giustificarsi la stessa Rackete ha dichiarato pubblicamente che è entrata perché aveva paura che gli immigrati si suicidavano gettandosi nelle acque del porto turistico di Lampedusa hahhahhahaa. Curiosamente la scriminante del “senso del dovere” viene invocata per Rackete, ma non per Salvini ministro degli interni a sua volta accusato di reati per cui rischia la forca. Per quanto riguarda la nave da guerra, è ovvio che le motovedette della finanza sono navi da guerra, regolarmente indicate come naviglio da guerra di cui portano le insegne, la legge italiana e tutte le sentenze precedenti la considerano nave da guerra. Quello a cui fa riferimento la cassazione è un trattato internazionale, che non è incompatibile con la legge di diritto interno, e attraverso questo cavillo formale del comandante della motovedetta che è un militare di carriera e guida naviglio da guerra con insegne da guerra ma non è registrato lui come capitano di nave guerra (cosa peraltro non indispensabile per il diritto interno) ecco che abbiamo passato la festa e gabbato lo santo. Che gentaglia, e detto francamente, anche lei si vergogni di commentare queste buffonate facendo finta di credere che la cassazione è veramente un tribunale quando è ovvio che sono solo dei pagliacci

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