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Il caso Regeni tra depistaggi e verità nascoste (Commissione parlamentare di inchiesta, 2019)

La Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni è stata istituita per chiarire le responsabilità e le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni nonché per identificare le condotte omissive che abbiano costituito (o costituiscano) ostacolo per l’accertamento di tali responsabilità.

Il 17 dicembre 2019 e poi il 6 febbraio scorso si sono presentati di fronte alla Commissione il Procuratore della Repubblica (Tribunale di Roma) Michele Prestipino Giarritta e il Sostituto Procuratore (Tribunale di Roma) Sergio Colaiocco per fornire aggiornamenti sullo stato della cooperazione giudiziaria con le autorità egiziane per la risoluzione del caso.

 

La scomparsa di Giulio Regeni

La scomparsa di Giulio Regeni avviene al Cairo la sera del 25 gennaio 2016, verso le ore 20:00

Giulio aveva appuntamento col professor Gennaro Gervasio nei pressi di piazza Tahrir per recarsi da un altro accademico collega del Gervasio (“Vado a trovare il professore con Gennaro. Spero che lo yoga vada bene. Fammi sapere quando tu torni a casa” scrive Giulio alla fidanzata in Italia) ma a quell’appuntamento non arriverà mai e il suo cadavere verrà ritrovato la mattina del 3 febbraio.

 

I tentativi di depistaggio

Il cadavere, secondo la ricostruzione degli egiziani, viene rinvenuto alle 10.30 del 3 febbraio dai passeggeri di un minivan che percorre la Cairo-Alexandria road, obbligato a fermarsi a causa della foratura di uno pneumatico.
I turisti del minivan individuano il corpo di Giulio Regeni adagiato in posizione seduta su un terreno sabbioso, in una zona non asfaltata e non frequentata al di sopra di un sottopassaggio.

Dapprima gli egiziani forniscono un esito dell’esame autoptico (ematoma subdurale, ovvero emorragia cerebrale causata – lasciano intendere- da un incidente stradale) completamente diverso da quello fornito dai medici legali italiani che hanno invece accertato che la causa della morte derivava da una frattura dell’osso del collo e non dalle dalle contusioni alla testa.
L’autopsia italiana accerta anche la frattura di alcuni denti; la frattura della scapola di destra e di sinistra; la frattura pluri-frammentaria dell’omero di destra; la frattura del polso destro; la frattura di alcune falangi del secondo dito della mano destra e del quinto dito della mano destra e del primo dito della mano sinistra; la frattura della base del primo metacarpo di sinistra; la frattura della base del quinto metatarso di destra, nonché una serie di lesioni traumatiche chiari indizi di tortura.

Giulio viene anche fatto ritrovare nudo per tentare, senza risultato, di attribuire alla tragedia un movente sessuale.

Il 12 marzo 2016, poi, un ingegnere egiziano testimonia di aver visto Giulio Regeni litigare con una persona straniera dietro al consolato italiano quando poi si accerterà che Giulio a quell’ora stava vedendo un film in streaming e che il cellulare dell’ingegnere aveva agganciato una cella in tutt’altra zona del Cairo.
L’ingegnere dichiarerà poi di aver detto il falso e ammetterà di averlo detto su richiesta di un ufficiale della sicurezza nazionale, Mustafa Maabad, che gli aveva chiesto di mentire al fine di tutelare l’immagine dell’Egitto e di incolpare degli stranieri sulla morte di Giulio Regeni.

Il 24 marzo la National Security comunica alle autorità italiane che sono state individuate cinque persone, morte in un conflitto a fuoco con la National Security stessa, che erano in possesso dei documenti di Giulio Regeni.
La National Security afferma che, avendo ritrovato i documenti nell’abitazione del capo della banda criminale, è evidente la riconducibilità del sequestro di Giulio a questa banda criminale e che il caso può quindi essere chiuso.
Si accerterà però -smascherando la tesi egiziana- che il giorno 25 gennaio 2016 (giorno certo della scomparsa di Giulio) il cellulare del capo della banda criminale era a cento chilometri dal Cairo, quindi in una posizione del tutto incompatibile con l’attività di sequestro.

Sempre nel 2016 si registra il fallimento dell’esito delle rogatorie presentate dalla Procura di Roma. La Procura chiedeva infatti di ricevere il traffico telefonico registrato dai ripetitori della zona dove Giulio era scomparso al fine di verificare la presenza in loco di alcune utenze ma l’autorità giudiziaria egiziana risponde di non poter condividere con noi nessuno di questi dati per ragioni di privacy.

Nel 2018, infine, dopo quasi un anno di silenzio, le autorità egiziane forniranno dei video contraffatti dalle telecamere di videosorveglianza della metropolitana.
Nei video vi sono tre buchi orari, ovvero tre spazi di tempo in cui non ci sono immagini, uno dei quali riguarda esattamente il lasso temporale dell’ultimo orario di aggancio del cellulare di Giulio Regeni prima della sua scomparsa.
Quando le autorità italiane hanno fatto richiesta dei video originali è stato risposto loro che non era possibile, dato che i file di log dei server della metropolitana del Cairo erano andati dispersi.

 

La (molto probabile) verità

Da questi goffi tentativi, si evince come le autorità egiziane abbiano fatto e stiano facendo di tutto per nascondere una verità che appare -però- ormai sempre più evidente.

La verità è che, molto probabilmente, Giulio è stato venduto, da persone che riteneva amiche, alla National Security o comunque ad alcuni soggetti appartenenti ad apparati dello Stato egiziano.

Queste persone sono:
– l’amica Noura, conosciuta a Cambridge e che lo ha accolto al Cairo al suo arrivo. A lei Giulio chiedeva aiuto nelle traduzioni in arabo, e proprio lei, da una certa data in poi, comunica ogni notizia relativa a Giulio ad un agente turistico di nome Rami, il quale sistematicamente contatta a sua volta  il maggiore Sharif della National Security;
– il coinquilino, l’avvocato El Sayed che vive nella stanza accanto alla sua e che contatta ed è contattato per ben otto volte, tra gennaio e febbraio 2016, dall’agente Najem (un sottoposto del maggiore Sharif);
– il sindacalista Said Mohamed Abdallah, capo dei sindacati indipendenti dei rivenditori di strada, che all’inizio è molto schivo con Giulio ma che improvvisamente lo ricontatta dicendogli di averci ripensato, di volerlo aiutare nelle sue ricerche e offrendosi di accompagnarlo dai suoi colleghi, al solo fine -però- di pedinarlo per conto della National Security. Abdallah registra anche un incontro con Giulio, grazie ad una camicia con un bottone dove è nascosta una telecamera, nella giornata del 7 gennaio 2016.

 

La collaborazione con le autorità egiziane

Nonostante la nostra Procura parli di “risultati estremamente positivi” in relazione al fatto di essere riusciti a ricostruire autonomamente il perimetro di quello che è accaduto tra il sequestro e l’uccisione di Giulio (e ad iscrivere nel registro degli indagati alcuni dei personaggi della National Security coinvolti nella vicenda), il rapporto di cooperazione con l’autorità giudiziaria egiziana sembra essere stato davvero insoddisfacente.

Depistaggi a parte, la National Security egiziana ha sempre escluso categoricamente -negando l’apparente verità- il coinvolgimento delle forze di sicurezza egiziane in quanto accaduto a Giulio Regeni.

Solo il procuratore generale della Repubblica araba d’Egitto, Nabil Sadek ha riconosciuto pubblicamente nel 2016 che Giulio si è comportato correttamente, smentendo così ufficialmente, dall’alto del suo ruolo, i depistaggi che vi erano stati fino a quel momento senza però giungere a garantire qualcosa di più concreto.

Aver rimandato al Cairo il nostro ambasciatore nell’agosto 2017 sembra non aver sortito alcun effetto e se la segretaria generale della Farnesina dichiara che per decidere se l’Egitto è sicuro o no bisogna considerare “chi si reca in Egitto e che tipo di attività intende svolgere”, forse è davvero giunto il momento di accogliere le richieste dei genitori di Giulio, ritirare nuovamente l’ambasciatore e dichiarare l’Egitto un Paese non sicuro – anche se questo dovesse andare a scapito dei nostri interessi commerciali – al fine di ottenere una “verità processuale nei confronti di chi ha deciso sul destino della sua vita, di chi lo ha torturato, di chi ha sviato le indagini, di chi ha permesso e permette tutto ciò. Su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani, compreso il diritto di tutti noi di avere la verità”.

L’Egitto, lasciato libero di agire, sembra non volersi fermare e non molla la presa su Giulio se è vero che il povero Patrick George Zaki, un ragazzo egiziano che studiava a Bologna, pochi giorni fa è stato (ed è ancora) arbitrariamente detenuto, accusato di “sostegno ad organizzazioni terroristiche” torturato e interrogato per 30 ore sui suoi legami con l’Italia e su quelli (apparentemente inesistenti) con la famiglia di Giulio Regeni.

 

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, Audizione del Procuratore Prestipino Giarritta e del Sostituto Procuratore Colaiocco, 17 Dicembre 2019 in .pdf (scaricabile):

Commissione di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni - Audizione Procura di Roma - 17 Dicembre 2019

 

 

 

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