Tre diversi giudici a quo sollevano dubbi di legittimità costituzionale in merito alla legge n. 210/1992 relativa agli indennizzi previsti dallo Stato a favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie.
I dubbi sono relativi alle casistiche in cui debba spettare tale indennizzo, nonché alle modalità di quantificazione dello stesso.
L’indennizzo è previsto anche per vaccinazioni non obbligatorie ma raccomandate
L’articolo 1 della legge n. 210/1992 prevede che un indennizzo debba essere versato a chiunque abbia riportato lesioni o infermità gravi a seguito di vaccinazioni obbligatorie per legge o a seguito di infezioni da HIV o epatite contratte da somministrazione di sangue e suoi derivati.
Nulla è però previsto dalla legge in caso di invalidità riportata a seguito di vaccinazioni solo “raccomandate” dalla Pubblica Autorità.
Il caso specifico sollevato dai giudici di merito tratta di soggetti che affermano di aver contratto la poliomielite in conseguenza di una vaccinazione ricevuta nel 1964.
Sebbene l’obbligo giuridico vero e proprio della vaccinazione antipoliomielitica (con relative sanzioni per gli inadempienti) venne imposto con la legge 51/1966, che all’articolo 1 recita “la vaccinazione contro la poliomielite è obbligatoria per i bambini entro il primo anno di età e deve essere eseguita gratuitamente”, già dagli anni ’50 la vaccinazione antipolio era socialmente sentita come obbligatoria, come dimostra il tenore delle Circolari emanate all’epoca dal Ministero della Sanità, che facevano apparire insensata una condotta opposta a quella consigliata.
Fin dal 1959, era infatti stata messa in atto una pressante campagna pubblica di sensibilizzazione volta alla vaccinazione di tutti i minori, per la tutela della loro salute e di quella altrui in rapporto all’elevato rischio di contagio in età scolare e prescolare.
Stante così le cose, i giudici rimettenti si domandano se non sia anticostituzionale non riconoscere il diritto all’indennizzo a chi si sia sottoposto a vaccinazione antipoliomielitica in un’epoca in cui essa non era ancora obbligatoria ma fortemente raccomandata e invece liquidarlo -ad esempio- “alle persone che, per motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per potere accedere ad uno Stato estero, si siano sottoposte a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, risultino necessarie” ex comma 4 della medesima legge 210/1992
La Corte Costituzionale concorda e riafferma il principio che non è lecito (alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione) richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, sacrificando -potenzialmente- la sua salute individuale a quella collettiva, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere il peso delle eventuali conseguenze negative.
Stante così le cose, non vi è ragione di differenziare -dal punto di vista dell’indennizzo- il caso in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello in cui esso sia semplicemente promosso dalla Pubblica Autorità in vista della sua diffusione capillare.
Se così non fosse, infatti, si riserverebbe a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che varrebbe a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione.
Lo Stato deve quindi predisporre, in favore di chi sia stato danneggiato nella sua salute per un “dovere di solidarietà”, una protezione specifica consistente in una “equa indennità” da versarsi al danneggiato, fermo restando il diritto al risarcimento del danno.
I soggetti danneggiati devono ricevere tale indennità a partire dal momento in cui è maturato il loro diritto, cioè dal momento in cui si è verificato il danno, senza limitazioni temporali.
L’indennizzo è definito dal legislatore
Solo il legislatore, però, è costituzionalmente abilitato a predisporre i mezzi necessari a far fronte alle obbligazioni dello Stato nella materia dei cosiddetti “diritti sociali” e, quindi, a quantificare l’indennizzo e gli arretrati da corrispondere a coloro che hanno subìto danni da vaccinazioni.
La Corte Costituzionale potrebbe censurare la somma stanziata dal legislatore (non considerandola “equa”) solo in quanto essa risultasse tanto esigua da vanificare il diritto all’indennizzo (riducendolo a “un nome privo di concreto contenuto”), poiché la censura in sede di giudizio di legittimità costituzionale di tale diritto è stabilito nell’an (ovvero nel “se” debba esistere tale diritto) ma non nel quantum (ovvero nella quantificazione della somma da stanziare).
Peraltro, la Corte sottolinea anche che tale indennizzo non ha né carattere risarcitorio, né previdenziale ma ha semplicemente natura di misura di solidarietà sociale.
Esso è infatti dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell’avente diritto e non mira, di per sé, agli scopi assistenziali di cui all’articolo 38 della Costituzione (che recita “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”) dato che va ad aggiungersi agli altri eventuali emolumenti a qualsiasi titolo percepiti dal soggetto, tra i quali -appunto- anche quelli di natura propriamente assistenziale, versati in caso di inabilità al lavoro derivante dal danno subito in conseguenza del trattamento sanitario.
Corte Costituzionale – Sentenza n. 27-1998, in .pdf (scaricabile):
Corte Costituzionale - Sentenza n. 27-1998 (Indennizzo vaccinazioni)