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Le limitazioni alla libertà di espressione (Ungheria, CEDU 2019)

Mr. Szurovecz è un giornalista della testata online abcug.hu che, nel 2015, contatta il Centro di Accoglienza di Debrecen (Ungheria) per scrivere un pezzo sulle condizioni di vita dei richiedenti asilo e dei rifugiati ivi ospitati.

L’Ufficio Immigrazione ungherese respinge la sua richiesta argomentando che la continua attenzione dei media sui migranti potrebbe violare il loro diritto alla privacy.
Inoltre, sempre secondo le autorità ungheresi, molte delle persone ospitate nel centro erano sfuggite a qualche forma di persecuzione e il divulgare informazioni su di loro avrebbe potuto mettere in pericolo la loro sicurezza e quella delle loro famiglie.

Mr. Szurovecz tuttavia non si accontenta della risposta ricevuta e lamenta di fronte agli organi giurisdizionali una violazione dell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo perché il divieto delle autorità ungheresi gli avrebbe impedito di esercitare il suo diritto alla libertà d’espressione.

Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera” recita l’articolo 10 della Convenzione.

Tale diritto non è comunque un diritto assoluto e l’esercizio delle libertà ad esso collegate può essere sottoposto dalla legge a specifiche limitazioni intese come misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza o -ad esempio- alla difesa dell’ordine pubblico.

 

Quando un’interferenza con la libertà di espressione è “necessaria” in una società democratica?

La Corte ritiene che un’interferenza con la libertà di espressione di qualsiasi individuo sia “necessaria” quando sia messa in pratica per rispondere a un ”pressante bisogno sociale” cui le autorità nazionali devono far fronte con modalità “ragionevoli” e “proporzionate” e sempre e comunque in buona fede.

Nel caso specifico, non si ravvisa sufficiente ragionevolezza e proporzionalità tra la misura adottata dalle autorità ungheresi (divieto assoluto di ingresso al Centro di Accoglienza migranti e invito a fare riferimento, per ottenere informazioni, ai report delle ONG che già avevano scritto a riguardo) e la dichiarata finalità di tutela dei diritti dei migranti.

Sicuramente le preoccupazioni delle autorità ungheresi relative alla privacy dei migranti erano “rilevanti” ma non “sufficienti” per limitare la libertà di un cronista che, oltretutto, si era impegnato a fare foto e a pubblicare dettagli personali solo con il consenso degli interessati.

La Corte considera invece che avere precluso al giornalista di svolgere il suo lavoro nel Centro di Accoglienza:
– gli ha impedito di raccogliere informazioni di prima mano, di verificare di persona lo stato di detenzione dei migranti e di raccontare le proprie impressioni personali;
– gli ha impedito di far conoscere al pubblico le implicazioni politiche e morali della crisi dei rifugiati in corso;
– ha depotenziato il ruolo -storicamente rivestito dalla stampa- di “cane da guardia” della democrazia; gli ostacoli creati per impedire l’accesso alle informazioni di pubblico interesse possono infatti scoraggiare i professionisti che lavorano nel campo dei media dall’approfondire tali materie, limitando così loro possibilità di fornire informazioni accurate ed affidabili.

Non c’era inoltre finalità sensazionalistica o ricerca dello scoop nella richiesta di Mr. Szurovecz ma un mero interesse a documentare argomenti di grande interesse pubblico (e di grande risonanza mediatica) quali quelli relativi ai trattamenti riservati ai migranti e alle loro condizioni di vita nei Centri di Accoglienza (come ad esempio che tipo di alloggi vengono assegnati loro, se lo Stato rispetta le obbligazioni internazionali verso i richiedenti asilo e se i diritti umani delle persone ospitate vengono pienamente rispettati).

Impedire l’accesso alla stampa è stato come voler mantenere il monopolio sulle informazioni da divulgarsi, privando così la pubblica opinione della pluralità di voci necessaria in una società democratica.
Pratica certamente sanzionabile.

 

La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (IV Sez) – Szurovecz v. Hungary – 08 ottobre 2019 (in .pdf), scaricabile:

Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (IV Sez) - Szurovecz v. Hungary - 08ott2019

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