Il 12 settembre 2013 approdano illegalmente sulle coste siracusane 199 emigranti di nazionalità siriana grazie all’operato di una rete di trafficanti di esseri umani.
Due egiziani e un palestinese “basisti” a Siracusa e Vittoria agivano infatti in costante collegamento con altri soggetti attivi in Egitto (uno dei quali, peraltro, residente a Firenze), al fine di procurare l’ingresso illegale in Italia di cittadini stranieri
Poco prima dello sbarco dei migranti, un pattugliatore militare dell’agenzia europea Frontex aveva localizzato una imbarcazione intenta a trasbordare un elevato numero di persone su una barca più piccola (quella che poi arriverà sulle coste italiane) per poi lasciarla andare alla deriva.
Il pattugliatore Frontex nota che la “nave madre” è priva di bandiera e, quindi, di nazionalità e che il nome del natante è abraso.
Alla richiesta di chiarimento dei militari, i componenti dell’equipaggio della nave senza nazionalità esibiscono 15 documenti in lingua araba, ad attestazione della loro attività di pescatori.
Sopraggiunge quindi la Guardia di Finanza che abborda l’imbarcazione, fotografa le 15 persone a bordo e, confermato il sospetto che la vera attività fosse quella del traffico di esseri umani, sequestra la nave e pone in stato di fermo l’equipaggio per condurlo a terra.
Il ricorso
Uno dei sedicenti pescatori presenta ricorso in Tribunale asserendo che i poteri coercitivi (reali e personali) esercitati dalla Guardia di Finanza, ovvero il sequestro della nave e il fermo dell’equipaggio, fossero stati esercitati in un luogo non soggetto alla nostra giurisdizione nazionale, e quindi in maniera illegittima.
La Cassazione – L’articolo 6 del codice penale
La Cassazione afferma innanzitutto la sussistenza della giurisdizione italiana nel caso in esame, ai sensi dell’articolo 6 del codice penale, che recita “il reato si considera commesso nel territorio dello Stato (e quindi punito secondo la legge italiana), quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione”.
Infatti, l’associazione per delinquere era composta da soggetti che operavano in parte in territorio straniero e in parte in territorio italiano e l’immigrazione clandestina veniva organizzata dai “basisti” dimoranti in Italia in concorso con “basisti” stranieri.
Lo sbarco sul territorio italiano risultava inoltre sapientemente programmato.
Parti cospicue delle azioni che costituiscono i reati contestati risultano quindi commesse in Italia.
La Cassazione – Il fermo e il sequestro
Affermata la giurisdizione italiana, l’abbordaggio e l’intervento in alto mare e i provvedimenti presi dalle forze di polizia italiane sono del tutto giustificati sulla base:
– dell’articolo 110 della “Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare” (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea) che prevede l’abbordaggio di navi che non battono alcuna bandiera, come quella che nel caso in esame trasportava i migranti illegali attraverso il Mediterraneo, al fine di esercitare il cosiddetto “diritto di visita” per finalità di controllo. La nave senza bandiera è infattti suscettibile di controllo e interferenza (da intendersi come qualsivoglia potere coercitivo statuale) da parte di qualsiasi Stato costiero;
e
– dell’articolo 8 del “Protocollo contro il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria” redatto a Palermo il 15 novembre 2000 che equipara il traffico di schiavi alla tratta dei migranti irregolari e permette quindi l’abbordaggio e la presa di appropriate misure coercitive contro le navi che siano ragionevolmente sospettate di essere dedite al traffico illecito di migranti, che battano o no bandiera di altri Paesi.
La Cassazione afferma così il pieno diritto d’intervento delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria di uno Stato Parte che s’imbattano, anche in alto mare, in nave priva di bandiera e che abbiano ragionevoli motivi per sospettare che la stessa sia coinvolta nel traffico di migranti, espressamente prevedendo che possano, in tal caso, fermare e ispezionare la nave, e, se il sospetto è, come nel caso in esame, confermato da prove, prendere opportune misure, cautelari e precautelari, “conformemente al relativo diritto interno ed internazionale”.
La motivazione della difesa secondo cui eventuali azioni penali o disciplinari contro le persone a bordo di una nave priva di bandiera debbano restare di esclusiva competenza dello Stato di cui dette persone hanno la cittadinanza viene respinta.
La Cassazione – La “libertà dell’alto mare”
Anche il richiamo dei difensori al principio della “libertà dell’alto mare” definito nella Convenzione UNCLOS [art. 87: “L’alto mare è aperto a tutti gli Stati (..) La libertà dell’alto mare (..) include (..) la libertà di navigazione”] non sembra pertinente.
La Convenzione stabilisce infatti i regimi giuridici dei diversi spazi marittimi mirando a stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contrapposti degli Stati nella loro qualità di “Stati rivieraschi” e di “Stati di bandiera”.
I singoli non godono invece di diritti e di libertà autonome in forza della Convenzione.
Essi possono fruire della libertà di navigazione solamente in quanto stabiliscano tra la loro nave e uno Stato che attribuisce ad essa la sua nazionalità, divenendo così il suo Stato di bandiera, “uno stretto rapporto giuridico e di fatto: un rapporto cioè rigorosamente costituito ai sensi del diritto interno dello Stato di bandiera e un legame effettivo”.
Sicché, quando una nave non è riconducibile ad uno Stato, né tale nave né le persone che vi si trovano a bordo godono della libertà di navigazione.
Corte di Cassazione – Sezione Prima Penale – Sentenza n. 36052-2014 (Nave senza bandiera e “libertà dell’alto mare”), in .pdf (scaricabile):
Corte di Cassazione – Sezione Prima Penale – Sentenza n. 36052-2014