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L’aiuto al suicidio: il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica

Se da una parte, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non potesse essere ritenuta incompatibile con la Costituzione, dall’altra aveva individuato quattro requisiti che avrebbero potuto giustificare l’assistenza di terzi nel porre fine alla vita di una persona malata (l’esistenza di una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili per il malato tenuto in vita grazie a trattamenti di sostegno vitale ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli) esortando il Parlamento a legiferare in materia.

La Corte Costituzionale aveva infatti tracciato un’analogia tra il rifiuto al trattamento sanitario consentito dalla Legge 219/2017 (Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento) e la richiesta di aiuto al suicidio, domandandosi perché -se il legislatore consente al malato di imporre a terzi di interrompere i trattamenti sanitari cui è sottoposto (tramite, ad esempio, il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore), anche se questo porterà al suo decesso- oppone invece un rifiuto assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un “aiuto a morire” (da lui considerato come più conforme alla propria idea di morte dignitosa), che raggiungerà comunque il medesimo risultato dell’interruzione dei trattamenti sanitari.

Il nuovo Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) si inserisce in questo contesto  al fine di fornire alcune raccomandazioni che possano essere di aiuto e di indirizzo per il futuro lavoro del legislatore.

È peraltro evidente, leggendo il documento e scorrendo le raccomandazioni prodotte dal Comitato, quanto questo argomento sia controverso e divisivo.

È altresì evidente che, dopo gli ultimi fatti di cronaca, il Parlamento non riuscirà mai a produrre un testo di legge entro la scadenza prefissata dalla Corte (il 24 settembre 2019), cosa che porterà –molto probabilmente- a un ulteriore intervento della magistratura per regolamentare la materia e rispondere alle istanze che giungono dalla società civile, ignorate dall’inerzia del mondo politico.

 

Eutanasia – Aiuto al suicidio – Sedazione Palliativa Profonda

Per “eutanasia” si intende normalmente l’atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del soggetto consapevole e informato, con lo scopo di provocare intenzionalmente la morte immediata del richiedente.

Si usano i termini “aiuto” o “assistenza al suicidio” quando l’atto suicidario che conduce alla morte avviene con la determinante collaborazione di un terzo (che può anche essere un medico); in questo caso, a differenza dell’eutanasia, è però l’aspirante suicida che compie l’ultimo atto che provoca la sua morte (e non il medico o il terzo).

La “sedazione palliativa profonda continua” è invece un atto tramite il quale il paziente si avvia, senza coscienza, verso la morte naturale dopo avere richiesto la sospensione o la non attivazione di un trattamento sanitario. Essa non è equiparabile all’eutanasia, perché quest’ultima è atto finalizzato alla morte immediata, mentre la sedazione è un atto volto ad alleviare le sofferenze di colui che l’abbia richiesta.

Dal punto di vista etico, una domanda fondamentale è se esista una differenza intrinseca moralmente rilevante tra l’eutanasia o il suicidio assistito da un lato, e la sospensione o la non attivazione di un trattamento su richiesta del paziente, dall’altro.
Alcuni contestano l’esistenza di tale differenza sulla base della constatazione che il risultato atteso, la morte del paziente, è identico in entrambi i casi e parlano, nel caso di sospensione/non attivazione dei trattamenti sanitari su richiesta, di “eutanasia omissiva”.
Altri ritengono, invece, che la differenza risieda nella distinzione tra uccidere e lasciar morire, e pensano che esista una responsabilità morale radicalmente diversa tra “essere causa” di un evento e “permettere a un evento di accadere”.
A partire da tale distinzione concettuale, si ritiene che eutanasia e suicidio assistito siano atti illeciti, mentre la sospensione o la non attivazione di un trattamento su richiesta del paziente rientri nel campo della liceità.

 

Le diverse posizioni dei membri del CNB – La difesa della vita umana

Alcuni membri del CNB (non la maggioranza ma comunque un ragguardevole numero) si oppongono all’ipotesi di suicidio medicalmente assistito sia sul piano etico che su quello giuridico, e convergono nel ritenere che la difesa della vita umana debba essere affermata come un principio essenziale.

Essi ritengono infatti che un’eventuale legittimazione del suicidio medicalmente assistito metterebbe in pericolo il principio secondo il quale compito primario e inderogabile del medico sia l’assoluto rispetto della vita dei pazienti (il paradigma del “curare e prendersi cura” della professione medica, primum non nocere).
La vita è dono “indisponibile” che deve essere tutelato a prescindere e indipendentemente dalla volontà del soggetto malato, poiché ciascuna persona ha una dignità intrinseca anche nelle condizioni di grave disabilità o compromissione della salute.

Inoltre, essi affermano, non vi è possibilità di accertare rigorosamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, la pretesa volontà suicidaria del paziente, assunta come volontà pienamente informata, consapevole, non sottoposta a condizionamenti psicologici, familiari, sociali, economici, o religiosi.
Le condizioni esistenziali di grave malattia e di sofferenza insopportabile rendono i soggetti particolarmente vulnerabili, rendendo così difficile presupporre una lucidità di giudizio e la libera capacità di volere del paziente stesso.

Anche solo l’aprire, poi, a possibilità di legalizzazione del suicidio assistito potrebbe provocare o comunque favorire un progressivo superamento dei limiti che si volessero eventualmente indicare nel relativo testo di legge, giungendolo ad estenderlo indebitamente a casistiche per le quali la capacità di consenso esplicito è più incerta (quali minori, soggetti psicologicamente e/o psichiatricamente fragili, anziani non autosufficienti): una volta indebolito il principio del più rigido rispetto nei confronti della vita, si rischia di ritrovarsi su un “pendio scivoloso” a favore di pratiche eutanasiche o comunque para-eutanasiche.

Per quanto siano umanamente comprensibili le condizioni estreme e drammatiche di alcuni casi concreti e alcune condizioni cliniche che portano i malati a chiedere l’aiuto a morire al medico, si ritiene siano sufficienti gli strumenti già disponibili ovvero l’astenersi da pratiche di accanimento terapeutico e il rispetto della volontà del paziente nel caso di rifiuto delle cure proposte (ovvero il “lasciare morire”, con affiancamento delle debite cure palliative) nel contesto di una relazione paziente-medico centrata sulla reciproca fiducia. Il medico deve ovviamente essere libero in scienza e coscienza di accogliere o no le eventuali richieste.

Non si deve cadere nella trappola che ci fa equiparare il “lasciare morire” (che riconosce il limite dell’intervento medico sul corpo del paziente, a condizione della piena consapevolezza delle conseguenze) all’“agevolare la morte” (che legittima la richiesta del malato di aiuto nel suicidarsi): a fronte di tali richieste di suicidio assistito, la risposta non deve essere la proposta o messa a disposizione di mezzi, farmacologici o tecnologici, per mettere in atto l’intento di uccidersi, ma l’offerta d’aiuto ad affrontare la sofferenza e il dolore, in una logica solidaristica e di sostegno anche psicologico.

 

Le diverse posizioni dei Membri del CNB – L’autodeterminazione

Altri membri del CNB sono invece favorevoli alla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito in presenza di determinate condizioni, che si possono così sintetizzare:
– essere in presenza di una malattia grave e irreversibile accertata da almeno due medici indipendenti (uno dei quali del SSN);
– trovarsi in uno stato prolungato di sofferenza fisica o psichica di carattere intrattabile o insopportabile per il malato;
– essere in presenza di una richiesta esplicita espressa in forma chiara e ripetuta dal malato, in un lasso di tempo ragionevole.

La richiesta di suicidio medicalmente assistito, secondo questa posizione, va accolta in ragione dei principi personalistici, di libertà e di autodeterminazione propri del nostro ordinamento giuridico.

La persona ha infatti diritto di preservare la propria dignità anche e soprattutto nelle fasi finali della sua vita.
Come in talune circostanze la dignità personale può essere garantita dal rifiuto di terapie salvavita e/o dalla richiesta di accedere alla sedazione palliativa profonda continua, così -in altre circostanze- tale dignità può essere invece salvaguardata dall’aiuto al suicidio: l’effettiva disponibilità della palliazione non deve escludere la possibilità che il paziente avanzi comunque una richiesta di aiuto medico al suicidio quando la sua esistenza si sia impoverita a tal punto da non avere da offrire altro che sofferenze o condizioni che vengono percepite dal malato come non più tollerabili.

Il requisito sempre necessario è che la persona determini in maniera esplicita, libera e informata la propria volontà di terminare la propria vita, dopo essere stato chiaramente informato sulla natura della sua malattia, sui possibili sviluppi di cure multidisciplinari o in sperimentazione e sull’effettiva possibilità di un coinvolgimento in un percorso di efficaci e continue cure palliative.

È nel carattere degli umani l’essere guidati nelle loro azioni da sollecitazioni emotive che interagiscono con la razionalità. Tuttavia, il sentirsi vulnerabili e feriti nella propria dignità non inficia il principio di autodeterminazione, né può, di per sé, giustificare la limitazione della libertà delle persone sofferenti perché “non lucide”.

Anche l’argomento del pendio scivoloso può avere un valore se inteso come invito alla cautela nell’individuazione delle condizioni per l’ammissibilità dell’assistenza al suicidio, ma va contrastato nella sua forzatura retorica, secondo la quale ci sarebbe una necessaria continuità dal suicidio medicalmente assistito in base alla richiesta consapevole del paziente ad altre forme di anticipazione della morte moralmente non accettabili.

 

Le Raccomandazioni

Le posizioni restano (inconciliabilmente?) diverse ma almeno su un punto vi è concordanza di intenti: si ritiene infatti indispensabile che sia fatto ogni sforzo per informare debitamente i cittadini e aggiornare i professionisti della sanità in merito alle disposizioni normative (legge n. 38/2010 e legge n. 219/2017) che attualmente garantiscono i diritti delle persone alle cure palliative certificate.

La libertà di autodeterminazione può infatti esistere solo in un contesto concreto in cui i pazienti godono di un’effettiva e adeguata assistenza sanitaria.

Accesso alle cure, strutture adeguate e risorse appropriate devono essere assicurate a prescindere da quella che sarà la decisione legislativa in materia: la pianificazione condivisa delle cure  e l’offerta assistenziale per le cure palliative (inclusa la sedazione palliativa profonda continua) devono essere effettivamente incrementate, illustrate e rese accessibili a tutti coloro che le richiedono in modo da evitare che le domande di assistenza al suicidio siano motivate da sofferenze che potrebbero essere diversamente trattate, con il consenso della persona malata, in maniera efficace.

Il CNB è pienamente consapevole che una maggiore diffusione/un potenziamento della terapia del dolore e delle cure palliative non potrà eliminare del tutto le richieste di assistenza medica a morire ma ritiene -comunque- che potrebbe ridurle in maniera significativa, escludendo quelle dettate da cause legate ad una sofferenza alleviabile.

Il CNB auspica infine che venga promossa un’ampia partecipazione dei cittadini alla discussione etica e giuridica al fine di elaborare e diffondere una cultura del fine vita consapevole e responsabile e che venga promossa quanto prima la formazione bioetica degli operatori sanitari.

 

Comitato Nazionale per la Bioetica – Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito del 18 luglio 2019, in .pdf (scaricabile):

CNB - Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito 18lug2019

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