La Procura dissente sulle motivazioni dell’Ordinanza del 2 luglio 2019 del GIP di Agrigento, la quale non aveva convalidato l’arresto di Carola Rackete per resistenza a pubblico ufficiale e violenza contro una nave da guerra nazionale, e porta il caso in Cassazione per annullare il provvedimento.
L’agguerrito Pubblico Ministero si scaglia contro l’Ordinanza ravvisando erronee applicazioni di normative nazionali e internazionali, interpretazioni “semplicistiche” che “banalizzano gli interessi coinvolti nella vicenda”, contraddittorietà nelle conclusioni nonché manifeste illogicità nelle motivazioni fornite.
In sintesi, secondo l’opinione del PM, il GIP avrebbe dovuto semplicemente limitarsi a valutare la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria nello “stretto momento” collegato all’arresto, senza operare complesse valutazioni di diritto in una sede a ciò non deputata e, peraltro, pervenendo anche ad erronee conclusioni.
Il reato commesso consentiva l’arresto nei termini di legge
Effettuando un controllo di ragionevolezza e ponendosi intellettualmente nella medesima posizione in cui si era trovata la Polizia Giudiziaria al momento dei fatti, il GIP è chiamato a valutare l’operato degli agenti al fine di verificare se, sulla base degli elementi raccolti, siano rimasti nei limiti di discrezionalità loro consentiti.
L’articolo 385 del codice di procedura penale prevede il divieto di arresto solo quando appaia che il comportamento antigiuridico sia stato compiuto nell’adempimento di un dovere (ricollegandosi così alla scriminante di cui all’art. 51 del codice penale considerata dal GIP).
Tuttavia, tale “apparenza” deve essere manifesta.
Secondo il PM è quindi scorretto considerare l’arresto come illegittimo poiché la Polizia Giudiziaria non aveva né tempo né modo di valutare -in flagranza di reato- se la manovra unilaterale di attracco (con conseguente schiacciamento della motovedetta della Guardia di Finanza contro la banchina del porto) fosse dettata dall’esistenza di un “dovere di soccorso delle persone in pericolo” derivante dalle normative internazionali applicabili, dovere sicuramente non “apparente” agli agenti e peraltro riconosciuto -anche in sede di valutazione da parte della magistratura- solo dopo articolate e complesse interpretazioni di diritto.
Le motovedette della Guardia di Finanza sono navi da guerra
Per quanto concerne il reato di resistenza o violenza contro nave da guerra (art. 1100 cod.nav.), il PM sottolinea l’esistenza di giurisprudenza consolidata a sostegno della tesi che i navigli della Finanza siano effettivamente da considerarsi tali.
Così in Cassazione n. 9978/1987 “una motovedetta armata della Guardia di finanza, in servizio di polizia marittima, deve essere considerata nave da guerra” o in Cassazione n. 31403/2006 “una motovedetta è una nave da guerra poiché svolge funzioni di polizia marittima ed è comandata ed equipaggiata da personale militare”.
Nel caso in esame, la motovedetta della Guardia di Finanza era iscritta nel naviglio militare dello Stato, recava le insegne militari del corpo di appartenenza, il comandante era un maresciallo ordinario della Guardia di Finanza e, infine, era armata con dispositivi di armamento individuali e di reparto di tipo militare.
La scriminante di cui all’articolo 51 c.p. deve essere valutata nella sua proporzionalità rispetto al pericolo che rischia di cagionare
Secondo il PM, non potendosi ravvisare l’esistenza di un pericolo assoluto e imminente per la vita e l’integrità fisica dei migranti comportante un immediato dovere di condurli a terra (non essendo esistito, quindi, un vero e proprio “stato di necessità”, cosa riconosciuta peraltro anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), non si capisce perché il GIP abbia deciso di non censurare la resistenza a pubblico ufficiale e la violenta manovra ai danni della motovedetta della Finanza.
Per quanto invece concerne l’obbligo di adempiere al dovere di soccorso delle persone in pericolo, addotto dal GIP come causa di giustificazione del comportamento antigiuridico di Carola, il PM ritiene che tale aspetto debba comunque essere valutato nella sua proporzionalità rispetto al pericolo che rischia di cagionare.
Ci si deve cioè domandare se la condotta esigibile nei confronti di un privato che abbia operato un salvataggio in mare debba necessariamente giungere fino alla conduzione a terra dei naufraghi, in violazione di una norma dello Stato costiero ed esponendo a rischio della vita le Forze dell’Ordine.
Specificamente – spingendosi forse in territori inesplorati – il PM ritiene che le norme internazionali richiamate dal GIP impongano sì la conduzione dei naufraghi in un “place of safety” ma che tale “place of safety” non abbia necessariamente il significato di “terra ferma”, potendo anche indicare più semplicemente un “posto sicuro”, ovvero un luogo che per specifiche caratteristiche consenta di offrire adeguata assistenza alle persone salvate, escludendo imminenti pericoli di danno grave.
Il PM, insomma, teorizza che poiché i migranti non erano più esposti ad un pericolo imminente per la loro vita/incolumità ed erano monitorati ed accuditi, l’azione di forza del comandante della Sea Watch 3 non poteva ragionevolmente ritenersi giustificata dall’adempimento di un dovere (i migranti, infatti, erano già in un “posto sicuro”).
Comunque -continua il PM- anche volendo ritenere che il dovere di soccorso dei migranti si debba considerare come adempiuto esclusivamente con la loro conduzione a terra, il GIP avrebbe dovuto comunque valutare il comportamento del comandante prima di decidere in merito alla validità dell’arresto: i migranti dovevano essere condotti a terra ma proprio in quel preciso momento e con quelle precise modalità? Non vi erano modalità alternative per lo sbarco come ad esempio l’utilizzo delle scialuppe di bordo invece di forzare il blocco?
La disapplicazione del Decreto Sicurezza-bis spetta alla Corte Costituzionale
Da ultimo, il PM polemizza anche sulla conclusione del GIP in merito alla disapplicazione dell’articolo 11, comma 1-ter, del DLgs 286/1998 (quello che prevede il divieto di ingresso, transito o sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica, ovvero quando si presuppone che ciò avvenga in violazione delle leggi sull’immigrazione) poiché non esiste nel nostro ordinamento un controllo di costituzionalità diffuso: se il GIP avesse voluto verificare la conformità della norma con la nostra Costituzione avrebbe dovuto trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale e attendere il relativo parere.
Procura della Repubblica, Tribunale di Agrigento – Ricorso per Cassazione del 16 Luglio 2019 contro l’Ordinanza del GIP del 02 Luglio 2019, in .pdf (scaricabile):
Procura Repubblica, Tribunale di Agrigento – Ricorso per Cassazione vs Ordinanza GIP 02lug2019