La legge francese (articoli L.1110-1 1 e R.4127-37-2 del Code de la Santé Publique) prevede che gli atti di sostegno vitale (inclusi nutrizione e idratazione artificiale) possano essere interrotti quando risultino in un irragionevole accanimento terapeutico sul paziente.
Essi possono quindi essere sospesi nel momento in cui appaiano inutili, sproporzionati o abbiano l’unico fine di mantenere artificialmente in vita il paziente, fatto salvo che non vi siano differenti volontà espresse dal paziente stesso, anche tramite disposizioni anticipate di trattamento.
Nel caso in cui il soggetto non sia in grado di esprimere la propria volontà e non abbia lasciato nessuna direttiva anticipata, la sospensione delle misure di sostegno vitale può avvenire al termine di una “procedura collegiale”.
Tale “procedura collegiale” può essere autonomamente richiesta dal medico che ha in cura il paziente o a seguito di richiesta dei familiari o dei parenti e si sostanzia in un esame congiunto del caso specifico da parte dell’équipe medica, supportata da consulenze di esperti esterni (fino a due, se ritenuto necessario), al fine di decidere se quello che si ha di fronte sia un caso di accanimento terapeutico oppure no.
L’eventuale decisione dell’interruzione degli atti di sostegno vitale è debitamente motivata e comunicata alla famiglia.
Il caso del signor Lambert
Il 29 settembre 2008 Vincent Lambert era stato vittima di un incidente stradale che lo aveva reso tetraplegico e costretto al ricovero in coma vegetativo (in “stato di minima coscienza”) in una struttura di lungodegenza dell’Ospedale di Reims.
Dopo quattro anni, i trattamenti somministrati non hanno migliorato la sua condizione e il medico che lo ha in cura si domanda se non sia il caso di verificare, tramite la descritta “procedura collegiale” prevista dalla legge francese, se la continuazione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale non rientrino nel campo dell’accanimento terapeutico.
Il signor Lambert non aveva lasciato alcuna disposizione anticipata di trattamento. L’unica testimonianza in merito a sue presunte volontà è fornita dalla moglie che riporta come Vincent le avesse detto (parlando però di ipotetici scenari) di preferire morire con dignità piuttosto che restare attaccato per sempre a una macchina. I genitori, invece, cattolici convinti, si oppongono a qualsiasi ipotesi di distacco del figlio dai macchinari che lo tengono in vita.
L’équipe medica coinvolta nella “procedura collegiale” considera effettivamente il trattamento del signor Lambert come una forma di accanimento terapeutico e, il 10 aprile 2013, il medico che ha in cura Vincent comincia la sospensione dei trattamenti, che devono però essere immediatamente ripristinati su decreto del Tribunale Amministrativo della Regione, che ravvisa vizi nella procedura collegiale appena conclusa e ritiene -comunque- che i familiari non siano stati avvisati in tempo utile.
Da allora, comincia una vera e propria battaglia legale che si protrae fino ai giorni nostri e che coinvolge anche il Consiglio di Stato e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il 24 aprile 2019 la famiglia si rivolge anche al Comitato dell’Onu sui Diritti delle persone con disabilità (Committee on the Rights of Persons with Disabilities – CRPD), il quale richiede allo Stato francese informazioni aggiuntive in merito al caso in esame e richiede altresì alla Francia di non sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale fino a che non si sia giunti a pronuncia relativamente alla richiesta presentata.
Tuttavia, il 7 maggio la Francia risponde negativamente al Comitato e il 20 maggio il medico dell’ospedale di Reims stacca nuovamente il Sig. Lambert dai macchinari.
Il giorno stesso, però, la Corte di Appello di Parigi ordina allo Stato francese di prendere ogni misura necessaria per mantenere alimentazione e idratazione artificiale fino al ricevimento del parere del CRPD.
La motivazione della Corte d’Appello: indipendentemente dalla valutazione sul carattere obbligatorio (o meno) della richiesta del CRPD, lo Stato francese si è obbligato, tramite la ratifica di trattati internazionali, a rispettare le decisioni degli organismi dell’ONU e tale orientamento deve essere mantenuto in ogni circostanza.
In aggiunta, decidendo di non ottemperare alla raccomandazione del CRPD –secondo la Corte d’Appello di Parigi- lo stato francese ha preso una decisione al di fuori delle sue competenze, avendo pregiudicato l’esercizio di un diritto (il diritto alla vita) che costituisce attributo inalienabile della persona umana, valore supremo nella scala dei diritti umani e –conseguentemente- in quella delle libertà personali.
La Corte di Cassazione francese
Il caso finisce così in Cassazione col seguente quesito: il fatto di sospendere alimentazione e idratazione artificiale al Sig. Lambert senza attendere l’esito della procedura davanti al CRPD, fa sì che lo Stato francese si sia reso colpevole di una azione manifestamente illegale commessa dall’amministrazione al di fuori delle sue competenze e contro un diritto o una libertà fondamentale (la libertà personale)?
Il tema è scottante, dato che si dibatte del diritto alla vita e della violazione del diritto alla libertà personale di un soggetto in stato vegetativo (e quindi particolarmente vulnerabile) in assenza di direttive anticipate di trattamento e senza che la sua volontà, espressa quando era capace di intendere e di volere, possa essere ricostruita con certezza.
La Cassazione, attenendosi al quesito sollevato nei ricorsi, si limita ad appurare se l’amministrazione -avendo applicato il Code de la Santé Publique– abbia commesso un’azione manifestamente illegale (la cosiddetta “voie de fait”) nei confronti della libertà personale di un individuo.
E propende per una risposta negativa poiché il concetto di “libertà personale” secondo il diritto francese non può essere applicato al caso specifico.
Esso deve infatti essere precisamente delimitato e letto alla luce dell’articolo 66 della Costituzione francese (“nessuno può essere arbitrariamente detenuto”) che prevede la salvaguardia della dignità umana contro ogni forma di asservimento e di degradazione, come nei casi di detenzione arbitraria o di ospedalizzazione forzata.
Sotto questa nuova lente, il caso in esame, pur rientrando sicuramente nel campo del diritto alla vita, non ricade in quello delle libertà personali come inizialmente ipotizzato dalla Corte di Appello di Parigi.
In altri termini, il diritto alla vita resta attributo inalienabile della persona umana ma non ricade nelle fattispecie del diritto di rilievo costituzionale alla “libertà personale”.
Per tale ragione la Cassazione non può considerare la sospensione dei trattamenti né come un’azione illecita né come una decisione presa al di fuori delle proprie competenze: l’amministrazione ha agito secondo il Code de la Santé Publique evitando ogni forma di asservimento e di degradazione per le persone coinvolte.
Tanto basta: non serve nemmeno che la Cassazione si pronunci sul carattere obbligatorio o consultivo delle richieste del CRPD per respingere nella sua interezza il provvedimento della Corte di Appello di Parigi.
L’11 luglio 2019 Vincent Lambert si spegne così nel suo letto di ospedale.
Corte di Cassazione francese – Sentenza n. 647 del 28 Giugno 2019 e documentazione collegata – Caso Vincent Lambert, in .pdf (scaricabile):
Corte Cassazione Francese - Sentenza 647 del 28 Giugno 2019 (Vincent Lambert)