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Il Tribunale di Bologna iscrive all’anagrafe un richiedente asilo, contrapponendosi al Decreto Sicurezza (Ordinanza n. 4747/2019)

Uno dei principi cardine del Decreto Sicurezza (DL 113/2018, convertito con modificazioni dalla Legge 132/2018) è quello che prevede una netta diversità di trattamento tra coloro che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale e coloro i quali, giunti in Italia, sono ancora in attesa di pronuncia da parte delle autorità preposte.

Diversamente da quanto previsto dalle normative precedenti, per godere dei servizi di integrazione, formazione, assistenza e inserimento socio-economico forniti dallo Stato italiano bisogna ora essere titolari di un permesso di soggiorno definitivo (asilo, protezione sussidiaria o “permesso speciale”) o essere minori non accompagnati.

Gli altri (i semplici richiedenti asilo ancora in attesa di risposta) sono ospitati nei Centri di Accoglienza Straordinaria senza che vengano spesi soldi pubblici per la loro integrazione fino alla certezza del loro status giuridico.

Gli SPRAR (“Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati”) sono diventati SIPROIMI (“SIstema di protezione per titolari di PROtezione Internazionale e per MInori stranieri non accompagnati”) e la concessione della residenza ai richiedenti asilo è ora negata, fondando sul domicilio l’erogazione dei servizi minimi previsti dalle norme vigenti.

Nello specifico, il Decreto Sicurezza ha disposto espressamente che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica” del migrante (articolo 13).

 

Il Decreto Sicurezza non ha però modificato la disciplina anagrafica corrente

Secondo il Tribunale, la norma introdotta dal Decreto Sicurezza non può però essere applicata alla lettera e non deve intendersi come un qualcosa di ostativo, di per sé, all’iscrizione anagrafica del richiedente protezione internazionale.

Il Decreto Sicurezza non ha infatti apportato modifiche alle regole generali sull’iscrizione anagrafica (DPR 223/1989) né alle norme del Testo Unico sull’immigrazione (DLgs 286/1998) che sanciscono il principio di non discriminazione (sempre in materia anagrafica) tra italiani e stranieri legalmente soggiornanti sul territorio italiano.

L’iscrizione anagrafica continua ad attuarsi (per tutti coloro che risiedono legalmente sul nostro territorio) attraverso una dichiarazione dell’interessato all’ufficiale di stato civile con la quale si dà atto della propria permanenza in un certo luogo e dell’intenzione di abitarvi stabilmente e con il successivo accertamento (da parte del Comune) della corrispondenza alla realtà di tale dichiarazione.

Ergo, il permesso di soggiorno rilasciato ai richiedenti asilo non ha la funzione di “titolo” per l’iscrizione anagrafica ma funge da documento di identità provvisorio e da prova del regolare soggiorno sul territorio italiano del migrante, per debito controllo delle autorità comunali prima della sua iscrizione all’anagrafe della popolazione residente ex DPR 223/1989.

Nella pratica:
– al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale, il richiedente asilo riceve un permesso di soggiorno di sei mesi, rinnovabile fino alla decisione finale sul suo status giuridico (art.4, DLgs 142/2015);
– quel permesso di soggiorno vale come documento di identità ed è prova del suo regolare soggiorno sul territorio italiano;
– il DLgs 286/1998 (art. 6, comma 6) fissa in tre mesi il limite di tempo dopo il quale la dimora dello straniero in italia si considera abituale;
– passati tre mesi di soggiorno su suolo italiano, il richiedente asilo (secondo le norme in vigore) ha quindi diritto all’iscrizione all’anagrafe dei residenti del Comune di appartenenza.

 

La residenza permette al richiedente asilo di esercitare i suoi diritti di rilievo costituzionale

Secondo il Tribunale, oltre all’aspetto formale di essere o meno inclusi nell’elenco dei residenti del Comune è fondamentale che questo avvenga per permettere al richiedente asilo di esercitare i diritti di rilievo costituzionale connessi alla residenza, quali il diritto all’istruzione o quello al lavoro.

Il Tribunale elenca testualmente: “l’eventuale iscrizione scolastica, la sottoscrizione di un contratto di lavoro, l’accesso alle misure di politica attiva del lavoro, l’apertura di un conto corrente, l’ottenimento della patente di guida, la determinazione del valore ISEE per accedere a determinate prestazioni sociali”.

Vale la pena ricordare che il Decreto Sicurezza prevede che l’accesso e l’erogazione dei servizi previsti dal DLgs 142/2005, a tutela del diritto all’assistenza sanitaria, del diritto di svolgere attività lavorativa, del diritto allo studio dei minori (articoli 21 e 22), tutti comunque fondamentali e tutti di rilievo costituzionale, nonché l’accesso ai “servizi comunque erogati sul territorio”, è assicurato nel luogo di domicilio del richiedente asilo.

Inoltre, anche prima dell’entrata in vigore del Decreto, i richiedenti asilo non avevano diritto a prestazioni sociali ulteriori rispetto a quelle previste dal sistema di accoglienza; per accedere a tali servizi (es. assegno famiglie numerose, bonus bebè, assegno di maternità di base e altri) occorreva aver già ottenuto una forma di protezione o avere comunque un titolo di soggiorno diverso da quello per richiesta di asilo.

Nonostante questo, il Tribunale di Bologna ritiene che il testo del Decreto Sicurezza (che lega -appunto- al luogo di domicilio l’accesso ai servizi e l’esercizio dei diritti collegati) non esaurisca i diritti individuali fruibili dagli individui in connessione con la loro residenza e renda comunque ingiustificatamente più gravoso il loro esercizio (forse a causa di interpretazioni difformi o restrittive della normativa da parte di ASL, scuole, banche..?).

Per tale ragione, dispone l’iscrizione all’anagrafe del richiedente asilo che aveva proposto ricorso.

 

Come deve essere interpretata allora la norma introdotta dal Decreto Sicurezza?

L’articolo 13, comma 1, del Decreto Sicurezza (“Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”) deve quindi essere inteso -sempre secondo il Tribunale- semplicemente come una rimozione del meccanismo di iscrizione anagrafica automatica precedentemente previsto dal DLgs 142/2015 come “speciale disciplina per richiedenti asilo” e deroga al DPR 223/1989.

Il responsabile della struttura di accoglienza dove soggiornavano i richiedenti asilo aveva infatti l’obbligo di comunicare agli uffici dello Stato Civile del Comune di appartenenza i nominativi dei richiedenti asilo ospitati

Sulla base i questa comunicazione (inoltrata poi anche alla questura) si effettuava una iscrizione semplificata dei migranti all’anagrafe della popolazione residente, non basata sulla dichiarazione del soggetto interessato e sui successivi accertamenti di ufficio, come previsto dal DPR 223/1989.

L’articolo 13 del Decreto Sicurezza abroga quindi questa “speciale disciplina” eliminando l’automatismo “accesso struttura accoglienza- iscrizione anagrafe” senza tuttavia modificare l’ordinario procedimento amministrativo definito dal DPR 223/89 e tuttora in vigore.

Si attende il ricorso del Ministero.

 

L’Ordinanza del Tribunale Ordinario di Bologna n. 4747/2019, in .pdf (scaricabile):

Tribunale Ordinario Bologna - Ordinanza n. 4747-2019

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