Jamil Khan è un ragazzo di nazionalità afghana che, nel mese di agosto del 2015 aveva lasciato -dopo la scomparsa di suo padre- il suo Paese con lo scopo di recarsi in Inghilterra.
Era così arrivato in Francia, a Calais, nella zona denominata “la giungla” (o “la landa”) dove aveva soggiornato per mesi prima di riuscire ad attraversare la Manica il 20 Marzo 2016 e farsi accogliere dagli inglesi
La tristemente famosa bidonville che si era creata a ridosso della città di Calais era abitata da migliaia di migranti costretti a vivervi in condizioni definite “indegne” dai rapporti delle organizzazioni umanitarie operanti sul territorio.
La maggioranza delle persone conviveva infatti promiscuamente con migliaia di altri individui e dormiva in tende e ripari di fortuna; la “landa” di Calais era servita da soli tre punti di approvvigionamento dell’acqua corrente e, quindi, affetta da una cronica mancanza di acqua; la raccolta dei rifiuti era assolutamente deficitaria e c’era un alto rischio di diffusione di epidemie.
Inoltre, venivano normalmente serviti solo 2500 pasti quotidiani per una popolazione stanziale di più di 6000 persone (nel periodo di massima capienza) e la totale mancanza di infrastrutture contribuiva al degrado generale.
Più che vivere, i migranti cercavano di sopravvivere in stato di estrema precarietà, circondati da alcolismo, prostituzione e violenza strisciante.
In questo quadro, vivevano ovviamente anche molti minori, sia con i loro genitori, sia da soli in quanto giunti in Europa come “minori non accompagnati”
Nonostante qualche intervento migliorativo effettuato dalla autorità francesi (come la predisposizione di punti d’acqua supplementari e la costruzione di nuove latrine), la situazione continuava ad essere critica.
Il prefetto del Dipartimento Pas-De-Calais aveva quindi deciso, il 12 febbraio 2016, di procedere allo smantellamento d’urgenza della zona Sud della “landa”.
Le doglianze di Jamil Khan
Le operazioni di smantellamento (iniziate a fine Febbraio 2016) sarebbero state però predisposte senza essere affiancate da adeguate misure di sostegno sociale e di ricollocamento dei migranti, specialmente dei minori che vivevano nell’area.
Non solo le organizzazioni umanitarie o le associazioni (quali la “Cabane Juridique”) che operavano sul territorio, ma anche le autorità francesi (quali il “Defenseur des Droits”), concordavano nell’affermare che nessun potere pubblico avesse agito in maniera sistematica per mettere al riparo i minori dagli ovvi disagi che lo sgombero della “landa” di Calais avrebbe generato.
Jamil aveva assistito alla distruzione della sua capanna ma nessuno gli aveva prospettato soluzioni alternative di ricollocamento in altre strutture né i servizi sociali lo avevano aiutato ad affrontare il presumibile stato di smarrimento derivante dall’aver perso la propria casa.
Come la maggior parte degli abitanti della zona Sud, Jamil dovette, da solo, trovare un riparo di fortuna nella parte Nord della “landa”, adesso ancora più sovraffollata di quanto fosse prima dello sgombero e riorganizzare da capo la sua vita in un luogo ancor peggiore del precedente.
Le ragioni della Francia
Nemmeno la Francia mette in dubbio le deplorevoli condizioni di vita della bidonville alle porte di Calais, che vengono quindi date per assodate dalla Corte.
Tuttavia, le autorità francesi fanno presente di aver cercato in ogni modo di mettere il richiedente al riparo dalle conseguenze negative dello smantellamento del campo: il 22 febbraio 2016 (appena prima dello sgombero) il giudice aveva infatti disposto che Jamil fosse immediatamente affidato ai servizi sociali per dargli il sostegno dovuto in questo periodo di transizione.
Tuttavia, l’ordinanza non era potuta essere eseguita in quanto Jamil non si era presentato all’appuntamento fissato dalle autorità né era stato possibile rintracciarlo in un secondo momento: in quanto “contumace” le autorità francesi declinavano quindi ogni responsabilità a riguardo.
La decisione della Corte
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sottolinea innanzitutto che le autorità hanno il compito di assicurare l’ordine pubblico e la protezione dei soggetti che risiedono sul loro territorio, specialmente quando si parla di minori.
Jamil aveva vissuto per parecchi mesi nella “giungla” di Calais in un ambiente totalmente inadatto alla sua giovane età, sia per i pericoli cui era stato esposto, sia per l’estrema situazione di disagio che aveva comportato vivere in alloggi di fortuna, per la mancanza di igiene, di cibo e di cure mediche adeguate.
Il fatto che Jamil non si fosse presentato all’appuntamento fissato dal giudice non era elemento dirimente per la decisione in merito al comportamento delle autorità francesi: esse erano comunque responsabili, a giudizio della Corte, perché le loro mancanze si erano palesate molto prima della reticenza a presentarsi di Jamil.
Le considerazioni sullo stato di estrema vulnerabilità (sia fisica che psicologica) dei bambini e degli adolescenti devono, sempre e per forza di cose, prevalere su qualsiasi altro apprezzamento relativo alla qualità di “migrante” del minore e/o dello status legale o illegale del suo soggiorno.
Le autorità avrebbero quindi dovuto predisporre da tempo misure adeguate per censire in maniera certa tutti i minori presenti a Calais e offrire loro alternative alla precarietà in cui erano costretti a vivere, cosa che non era stata fatta.
I dati raccontavano che, a fronte di 316 minori identificati al 5 gennaio 2016, ve ne erano altri 617 per i quali le autorità francesi non avevano alcuna informazione né la stavano reperendo.
Non solo, a Calais mancava una procedura di accoglienza sistematica e di presa in carico dei minori e la struttura di accoglienza per loro predisposta era comunque ubicata a Saint-Omer, ovvero a circa una cinquantina di chilometri da Calais.
Questo per la Corte non è accettabile.
Per le regioni sopra esposte e per il trattamento riservato a Jamil, la Corte ravvisa quindi una violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo (ovvero il divieto di trattamenti inumani e degradanti: “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) per la quale la Francia viene anche condannata al pagamento di 15000 euro come ristoro dei danni morali subiti.
La Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, Khan vs Francia, 28 Febbraio 2019, in .pdf (scaricabile):
Corte Europea dei Diritti Umani, Khan vs Francia, 28 Febbraio 2019 (12267-16)