La “European Union Agency for Fundamental Rights” (FRA) ha da poco pubblicato il rapporto “Being Black in the EU” con lo scopo analizzare se razzismo, discriminazione e xenofobia siano ancora presenti negli Stati dell’Unione e in che modo condizionino la vita dei suoi cittadini.
Il rapporto prende in considerazione 12 Stati Membri (tra cui l’Italia) e si basa su un campione di 25.515 intervistati, migranti nati nei Paesi dell’Africa sub-sahariana o persone con almeno un parente nato in quell’area (quindi, migranti di seconda generazione).
Esso evidenzia come la discriminazione razziale affligga, ancora oggi, non solo aree sottosviluppate e culturalmente arretrate del pianeta ma anche aree a più alto tasso di democrazia (e cultura), come l’Europa.
Violenze subite solo per il colore della propria pelle, molestie, sottoposizione a controlli più frequenti da parte delle forze di polizia, offerta di lavori meno qualificati che spesso non corrispondono al livello di educazione della persona, persino difficoltà nel trovare casa, sono i rilievi principali del rapporto.
Violenze e molestie a sfondo razziale
Agli intervistati è stato chiesto se, nei cinque anni precedenti all’intervista, si fossero mai trovati in situazioni in cui avessero percepito ostilità o comunque si fossero sentiti a disagio per ragioni collegate alle loro origini o al loro colore della pelle.
Le ipotesi spaziano da commenti offensivi ricevuti di persona, via SMS o on-line (sui profili social ad esempio), a gesti offensivi, sguardi inappropriati, fino a vere e proprie minacce.
Sorprendentemente (o forse no?) il Paese con circa due intervistati su tre (il 63%) che dichiarano di aver sperimentato molestie a sfondo razziale è la Finlandia (63%) seguita da Lussemburgo (52%), Irlanda (51%) e Germania (48%).
Il luogo migliore dove risiedere, da questo punto di vista, è Malta (20%) mentre l’Italia si situa a livello dei tedeschi (48%)
Non sono state evidenziate significative differenze di genere, uomini e donne sono stati colpiti da tali discriminazioni nella stessa maniera.
Gli intervistati identificano il colore della pelle e l’origine etnica come i principali motivi di discriminazione. Il credo religioso non è invece ai primi posti, anche se indossare costumi tradizionali in pubblico è sicuramente un fattore che aumenta le ripercussioni sociali a carico degli intervistati.
Il 64% delle vittime non ha mai denunciato l’accaduto alla polizia, sia per sfiducia nel sistema (“anche se denuncio non cambierà nulla, anzi, potrebbe essere controproducente”) sia perché comunque l’accaduto è stato considerato come non importante o non degno di nota (“accade tutte le volte”).
Solo una sparuta minoranza non ha denunciato perché spaventata dalla polizia o per mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine.
I casi di vera e propria violenza fisica nei confronti degli intervistati sono fortunatamente molti di meno e il Paese che ancora conduce la classifica è sempre la Finlandia (14%), seguita in questo caso da Irlanda e Austria (entrambe al 13%). L’Italia è solo al 5% e si attesta al terz’ultimo posto.
Nel caso delle violenze fisiche, le differenze di genere invece esistono e i dati evidenziano come le donne siano state colpite il doppio delle volte rispetto agli uomini.
Controlli da parte delle forze di polizia
La profilazione è spesso lecitamente utilizzata dalle forze di polizia per identificare soggetti a rischio: diventa però illegale nel momento in cui l’azione delle forze dell’ordine si basa (ed è condotta) solo ed esclusivamente sull’origine/etnia del soggetto invece che sui suoi comportamenti.
In altri termini, non dovrebbe essere consentito fermare o arrestare sistematicamente dei soggetti per sospetti ingenerati solo sulla base della loro origine/etnia, a meno che la loro origine/etnia non sia collegata alla descrizione identificativa di un sospetto specifico per un crimine specifico.
Agli intervistati è stato chiesto di condividere quanto sperimentato durante i controlli da parte delle forze di polizia (come siete stati trattati?) e di esprimere quale fosse stata la loro percezione dal punto di vista della discriminazione razziale (vi sembra di essere stati fermati solo per il colore della vostra pelle?).
I dati mostrano che l’Italia e l’Austria sono i Paesi dove gli intervistati si sono sentiti più discriminati e hanno percepito che i controlli di polizia fossero stati effettuati solo per la loro origine etnica/status di migrante (il 70% dei fermati in Italia nell’ultimo anno e il 63% dei fermati in Austria hanno risposto “si” alla domanda “pensa che l’ultima volta che è stato fermato è stato a causa della sua origine etnica o il suo stato di migrante?”), percentuali quasi tre volte superiori rispetto alla Finlandia.
L’Austria è di gran lunga il Paese che ha effettuato più controlli e, in media, gli uomini sono stati fermati quattro volte più frequentemente delle donne.
In generale gli intervistati dichiarano comunque fiducia nelle forze dell’ordine e nello stato di diritto anche se l’esperienza discriminatoria (quando viene percepita come profilazione razziale) mina ovviamente la loro fiducia nel sistema.
Scuola e lavoro
Il livello di scolarizzazione degli intervistati differisce anche significativamente da Paese a Paese.
Malta, Portogallo e Italia sono i Paesi che ospitano i soggetti con un minor grado di scolarizzazione; in Italia, particolarmente, il 64% delle donne e il 54% degli uomini è classificato come livello “ISCED -0-2” (International Standard Classification of Education), ovvero un’educazione di livello pre-elementare/elementare o un’istruzione secondaria inferiore.
Questo si riflette anche sui tipi di occupazione che vengono offerti a queste persone: sempre prendendo in considerazione il caso italiano, il 25% degli intervistati (di cui due terzi donne) dichiara di essere occupato in “lavori domestici”.
In generale inoltre, un quarto degli intervistati (un quinto in Italia) è occupato in lavori classificati come “elementari” ovvero lavori manuali che comportino sforzo fisico.
Le percezioni degli intervistati sono comunque abbastanza negative: denunciano di essere assegnati a mansioni non adeguate al loro livello di istruzione, di non ricevere promozioni a causa della loro origine etnica, di non sentirsi liberi di poter esprimere la loro cultura sul luogo di lavoro (ad esempio, avere delle pause per pregare).
L’Italia è anche ai primi posti per quanto concerne la discriminazione percepita sia nel momento in cui si cerca un lavoro (47%) sia durante lo svolgimento della propria mansione lavorativa (39%).
In Italia, inoltre, la disoccupazione giovanile (16-24 anni) tra gli intervistati supera il 40%; fanno peggio di noi solo Malta (70%) e Austria (quasi 80%).
Ricerca di un alloggio
Anche la ricerca di alloggi non si rivela facile per gli intervistati.
In media, il 56% di loro vive in alloggi comuni (in Italia solo il 9% ha un alloggio proprio, contro una media del 72% della popolazione residente), sovraffollati, con problemi strutturali (quali perdite dal tetto o mancanza di servizi igienici privati).
Il 43% degli intervistati che vivono in Italia o in Austria si sente discriminato quando cerca casa per sé stesso o per la propria famiglia: il colore della pelle, le origini etniche, la religione praticata e l’accento con in cui parlano italiano sono i motivi, dicono, per i quali non viene loro affittato un appartamento (14% del campione) o per i quali viene chiesta un caparra o un canone di affitto maggiore (5% del campione).
Il 6% denuncia anche di esseri trovato di fronte ad annunci per affitti che discriminavano espressamente determinati gruppi etnici, invitandoli a non presentare neppure la loro candidatura.
Il Rapporto “Being Black in EU” della “European Union Agency for Fundamental Rights”, in .pdf (scaricabile):
Being Black in EU - FRA (2018)