Le Nazioni Unite (la “United Nations Support Mission in Libya” – UNSMIL e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR) hanno pubblicato un nuovo rapporto sugli orrori che i migranti sono costretti a patire in Libia durante il loro viaggio verso l’Europa.
Le testimonianze riportate sono state raccolte direttamente dalle Nazioni Unite sul territorio nell’arco dei due anni appena trascorsi (2017-2018).
Per la redazione del rapporto, UNSMIL ha anche utilizzato informazioni fornite da associazioni in difesa dei diritti umani operanti sul territorio e da diverse autorità locali.
In tutto il Paese, la detenzione arbitraria continua ad essere ampiamente diffusa sia nelle prigioni ufficiali sia nelle altre strutture di detenzione controllate dai diversi gruppi armati.
I centri di detenzione sono sovraffollati e carenti dal punto di vista igienico-sanitario, le stanze sono presidiate da uomini armati senza scrupoli, il cibo e l’acqua scarseggiano.
Inoltre, i migranti sono sottoposti a sistematiche violenze, torture ed estorsioni.
Non è nemmeno mutata la condotta violenta della Guardia Costiera Libica durante le operazioni di salvataggio e intercettazione in mare, con un eccessivo (e spesso gratuito) uso della forza.
Le voci dei sopravvissuti provano a darci un’idea delle atrocità subite, della disumanità, del totale disprezzo per la dignità dell’essere umano.
Gli abusi dei trafficanti di uomini
“In Libia odiano le persone di colore, ci trattano come animali o, peggio, come schiavi. Ci arrestano senza nessuna ragione e, una volta in prigione, non ci lasciano andare fino a che non gli paghiamo un riscatto o fino a che non moriamo” (migrante dalla Nigeria, uomo, Dicembre 2017)
“Sono stata venduta a una gang di trafficanti a Bani Walid. Volevano che la mia famiglia pagasse 1000 dollari americani su un conto in Egitto. Mi hanno versato benzina sulle gambe e poi mi hanno dato fuoco. Ancora non riesco a camminare. Picchiano chiunque e violentano le donne. Mia figlia di due anni ha una bruciatura sul collo provocata con una sigaretta. Ho visto così tante persone morire là” (migrante dalla Costa d’Avorio, donna, Novembre 2017)
“Non appena sono entrato in suolo libico, ho capito che il mio incubo non era finito. Ho visto solo violenza, sfruttamento e persone detenute” (migrante dal Senegal, uomo, Novembre 2017)
Il 4 Luglio 2017 un gruppo di migranti venne abbandonato dai trafficanti in un cassone di un camion nei pressi di Garabulli. “La polizia libica arrivò la sera (alle 21:00) ma non ci liberarono fino a che non arrivammo al centro di detenzione di Tarik al-Sikka: temevano una nostra fuga. Bussammo molte volte al portellone del camion senza risultato; molti stavano vomitando e soffocavano all’interno del cassone” (migrante dalla Costa d’Avorio, donna, Giugno 2017)
I trattamenti inumani e degradanti, la violenza, la morte
“Eravamo in 700-800 in un grande hangar. Sparavano alle gambe dei migranti se non potevano pagare la cifra che era loro richiesta e li lasciavano a terra a dissanguarsi fino alla morte. Colpirono mio figlio, che aveva 5 anni all’epoca dei fatti, alla testa con una sbarra di metallo per convincerci a pagare il riscatto. Ho visto tantissime persone perdere la vita in quel posto, per le percosse e per la fame. C’era un ragazzo somalo, tutto pelle e ossa, non riusciva nemmeno a reggersi in piedi e i trafficanti continuavano a picchiarlo. Morì. Ancora adesso, quando chiudo gli occhi, l’espressione del suo viso mi perseguita (migrante dal Darfur, donna, Aprile 2018)
“Mia sorella è morta perché non curata adeguatamente; se sei malata, semplicemente muori. I responsabili del campo ci picchiavano, ci sparavano, ci camminavano sopra mentre stavamo dormendo. Ero già incinta allora, e si capiva dalla mia pancia, ma a loro non importava. Eravamo in centinaia in quell’edificio, stipati come sardine. Dovevo fare la pipì in una bottiglia e gli altri bisogni all’esterno” (migrante dalla Liberia, donna, Novembre 2017)
“Mia moglie stava sempre peggio. Ho implorato di permettermi di portarla in ospedale o di far venire un medico nell’edificio in cui eravamo detenuti; mi sono anche inginocchiato ma ho ricevuto solo percosse e intimazioni a tacere. Mia moglie cominciò il travaglio e fu aiutata da un’altra donna camerunense che era lì con noi. Non c’era acqua, nulla. Fummo obbligati a tagliare il cordone ombelicale con un coltello sudicio. Mia moglie continuava a perdere sangue in maniera copiosa. Morì tra le mie braccia” (migrante dal Camerun, uomo, Aprile 2018)
“Mi sentivo molto male, le mie compagne di cella cominciarono a battere alla porta. Il personale della prigione mi trasferì in un’altra stanza dove mi somministrarono una flebo ma senza portarmi in ospedale. Persi il bambino, che finì nello scarico del wc” (migrante dalla Nigeria, donna, Marzo 2018)
Un migrante nigeriano, detenuto tra Maggio e Ottobre 2017 nei centri di Sabratha, racconta di quella volta in cui un compagno venne ucciso “da una guardia ubriaca senza apparenti ragioni” o di quella volta in cui un migrante venne ucciso a sangue freddo dopo una discussione sull’utilizzo di una sim card.
Le torture
“Ci picchiano tutti i giorni. Usano bastoni elettrificati se chiediamo del cibo, delle medicine o informazioni su quello che ci capiterà. A quelli che tentano di scappare o creano qualche problema è riservato un trattamento più severo, di solito tornano con le ossa fratturate” (migrante dal Camerun, uomo, Novembre 2017)
“La pistola puntata alla tempia, ci portarono nel cortile. Poi ci spararono ai piedi. Fummo quindi trascinati nuovamente nelle nostre celle e lasciati lì a sanguinare” (migrante dalla Tunisia, uomo, Novembre 2017)
Le violenze sessuali
“Si ubriacano e poi ci fanno quello che vogliono: ci toccano, ci tolgono i vestiti, smettono solo se li paghi” (migrante dall’Eritrea, donna, Gennaio 2018)
“Eravamo 200 persone in quella stanza, si faceva fatica a respirare, a muoversi, a sgranchirsi le gambe. Tutte le notti, venivo stuprata da più uomini (fino a sei), alcuni libici, altri africani. Ho passato cinque mesi così. Mia madre ha dovuto vendere la sua casa e prendere a prestito altri soldi per pagare i 5000 dollari americani che chiedevano. Adesso sono incinta” (migrante dall’Eritrea, donna, Aprile 2018)
“Arrivavano con le loro pistole, prendevano le donne che volevano stuprare e le portavano fuori. Non importava se fossero incinta o se stessero allattando. Ne ho viste morire tre con i miei occhi”. “Le obbligavano a spogliarsi, le guardavano e sceglievano quelle che avrebbero violentato. Se una donna decide di opporre resistenza, non le danno da mangiare, la picchiano, non le permettono di imbarcarsi per attraversare il Mediterraneo anche se ha già pagato la cifra richiesta” (migrante dalla Costa d’Avorio, donna, Novembre 2017)
Le donne vengono anche obbligate a prostituirsi dai loro carcerieri: viene data loro la “scelta” di pagare subito il loro “debito” in denaro (che di solito ammonta a migliaia di dollari) o di farlo tramite lo sfruttamento del loro corpo. “All’inizio mi sono rifiutata ma se ti rifiuti di lavorare per loro ti uccidono, ti violentano, ti fanno qualsiasi cosa gli passi per la testa. Sono dovuta stare lì per circa un anno, fino a che non ho pagato il mio debito di 3500 dollari” (migrante dalla Nigeria, donna, Dicembre 2017)
La guardia costiera libica
Da Gennaio 2017 a fine Settembre 2018 la Guardia costiera libica ha intercettato e riportato a terra circa 29.000 migranti. UNSMIL ho documentato e continua a documentare episodi di violenza (fisica e verbale) da parte degli ufficiali della Guardia costiera, minacce, uso improprio di armi da fuoco, sprezzo delle regole.
“Ci tirarono delle corde ma qualcuno tra i migranti si rifiutò di afferrarle. Gli uomini della Guardia costiera cominciarono allora a chiamarci schiavi e a minacciarci. Qualcuno disse: ‘non volete le corde? Bene, morite tutti allora’. Alla fine il freddo e la disperazione ebbero il sopravvento e cominciammo a salire a bordo. Solo i migranti di nazionalità marocchina vennero messi sotto coperta, gli africani vennero lasciati sul ponte, al freddo”. (Aprile 2018)
La barca della Guardia costiera passa velocemente di fianco al naviglio dei migranti, sollevando alte onde che rischiano di farlo capovolgere. Gli uomini della Guardia costiera salgono poi a bordo, scherniscono qualche migrante (“niente Italia per te”) e riportano tutti su suolo libico. “Ci chiamavano negri e selvaggi, diedero succhi di frutta e biscotti alle donne mediorientali mentre a noi e ai miei figli non fu dato nulla” (migrante dal Sudan, donna, Gennaio 2018)
A questi soggetti, è bene non dimenticarlo, abbiamo affidato il compito di arginare i flussi illegali di migranti per “contrastare i traffici di esseri umani e salvaguardare la vita umana in mare”.
L’insostenibile ironia della Realpolitik.
Il Rapporto “Desperate and Dangerous – Report on the human rights situation of migrants and refugees in Libya” delle Nazioni Unite, datato 18 dicembre 2018, in .pdf (scaricabile):
UNSMIL - Desperate and Dangerous, Report on the human rights situation in Libya - 18dec2018