Il 12 settembre scorso, il Parlamento Europeo ha richiesto al Consiglio dell’Unione Europea di procedere, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), all’esame della situazione ungherese al fine di appurare se ci si trovi effettivamente di fronte a una “chiara violazione” del diritto comunitario da parte dell’Ungheria.
La richiesta è stata motivata dalle ormai sistematiche violazioni dei valori fondativi dell’Unione Europea (tra cui figurano il rispetto per la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani) da parte del governo guidato da Victor Orbán.
Come funziona l’articolo 7 del TUE
Secondo l’articolo 7 del TUE il Consiglio dovrà ora ascoltare la posizione dell’Ungheria e potrà poi dichiarare, a maggioranza di quattro quinti dei suoi membri, l’esistenza di un “evidente rischio di grave violazione” dei valori fondativi dell’Unione Europea.
Tale dichiarazione dovrà comunque essere convalidata da un ulteriore consenso del Parlamento Europeo.
Come opzione alternativa, il Consiglio potrà decidere “solamente” di rivolgere ulteriori raccomandazioni all’Ungheria per porre rimedio alle violazioni constatate.
Se le violazioni dovessero continuare, il Consiglio potrà constatare, all’unanimità (chiaramente senza la partecipazione dell’Ungheria), l’esistenza “di una violazione grave e persistente” e procedere poi, a maggioranza qualificata, all’adozione di una decisione nei confronti dell’Ungheria che abbia l’effetto di sospendere alcuni dei sui diritti derivanti dall’applicazione dei trattati (come ad esempio l’accesso ai fondi europei), compresi il diritto di voto in seno al Consiglio.
Come si nota facilmente, il processo è macchinoso, lungo e difetta di incisività, in quanto se uno solo degli Stati Membri si oppone alle sanzioni (non permettendo di raggiungere l’unanimità) tutto può finire in una bolla di sapone.
Tuttavia, per specifici casi di palese violazione del diritto comunitario, resta sempre a disposizione delle istituzioni europee la procedura di infrazione promossa dalla Commissione o da un altro Stato Membro (ex articoli 278 e 279 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), che può anche culminare in un rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per ottenere una pronuncia giurisdizionale di merito.
Il report Sargentini
Il Parlamento Europeo ha preso la sua decisione (anche) sulla base del cosiddetto “report Sargentini” (una europarlamentare olandese che milita tra le fila dei Verdi), qui allegato, che ha evidenziato le molte lacune del sistema ungherese in termini di rispetto dello stato di diritto e tutela dei diritti umani.
Funzionamento del sistema costituzionale: dalla sua entrata in vigore nel Gennaio 2012, la nuova costituzione ungherese (la “Fundamental Law” o “Legge Fondamentale”) è già stata emendata sei volte.
A seguito di tali riforme, le competenze della Corte Costituzionale ungherese sono state fortemente limitate: dapprima tagli alle risorse finanziarie, poi l’abolizione dello strumento di garanzia dell’actio popularis (che permetteva a chiunque di poter sollevare ex post una questione di legittimità costituzionale in merito a qualsiasi atto normativo ungherese), quindi profonde modifiche alle competenze della Corte.
La Corte costituzionale ungherese può infatti ora esaminare la legittimità degli emendamenti alla carta costituzionale solo nei casi di modifiche formali di natura procedurale e non nei casi di modifiche sostanziali (ovvero sui contenuti).
Inoltre la Corte non può più fare riferimento, nei suoi giudizi relativi alla nuova “Legge Fondamentale”, alla propria giurisprudenza antecedente al Gennaio 2012: il nemmeno troppo celato fine del legislatore è quello di annullare le garanzie costituzionali precedentemente conquistate e di cancellare completamente le interpretazioni del diritto basate sul vecchio dettame costituzionale.
Anche le Nazioni Unite hanno recentemente espresso preoccupazione per la limitatezza dei casi in cui si può adire la Corte, per il fatto che la legge ungherese non preveda un limite temporale per la revisione costituzionale (quando prevista) e per il fatto che la revisione della Corte non abbia un effetto sospensivo sull’efficacia della legislazione interessata.
Indipendenza del sistema giudiziario: in genere, il rapporto segnala un’indebita influenza dell’esecutivo nel campo del potere giudiziario.
Ne è un esempio l’istituzione dell’ “Ufficio Nazionale della Giustizia” (“National Judicial Office”), cui la legge ungherese ha dato mandato di occuparsi dell’amministrazione centrale dei tribunali, conferendogli estesi poteri: il presidente del NJO ha infatti il diritto di trasferire e assegnare i giudici operanti nei tribunali nazionali e di raccomandare al Presidente dell’Ungheria nomine o rimozioni dei presidenti dei tribunali, incluse le corti di appello.
Il presidente del NJO è anche autorizzato a trasferire i casi oggetto di dibattimento da un tribunale all’altro.
Il presidente del NJO è, tuttavia, eletto dal Parlamento ungherese e, in quanto diretta espressione del potere politico, non può ragionevolmente essere considerato come un credibile organo di auto-governo del giudiziario.
Anche se l’Ungheria, a seguito delle pressioni internazionali ricevute, ha modificato le competenze del presidente del NJO e ne ha ridotto i poteri (promuovendo anche una maggiore sinergia con il “Consiglio nazionale della magistratura” -National Judicial Council- che dovrebbe vigilare sul suo operato), le riforme approvate nel 2017-2018 proseguono nella loro direzione antidemocratica.
È stata infatti recentemente approvata la possibilità di istituire tribunali speciali per giudicare i ricorsi dei privati contro gli atti amministrativi dello Stato, con giudici nominati direttamente dal governo; il palese intento è quello di controllare l’operato dei giudici e di evitare verdetti dei tribunali ordinari contro atti o membri del governo.
Anche le decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea devono essere pienamente rispettate dal governo ungherese: ad esempio, nonostante il dispositivo della sentenza ordinasse diversamente, non sono mai stati reintegrati i giudici, pubblici ministeri e notai forzatamente (e illegalmente) posti in stato di pensionamento anticipato dalla legge ungherese.
Tutela della privacy: le Nazioni Unite segnalano preoccupanti situazioni di intercettazioni di massa e di indebite interferenze nella sfera privata dei cittadini, ufficialmente giustificate da scopi di sicurezza nazionale (si veda ad esempio il caso “Szabo and Vissy v. Hungary”, 2016, Corte Europea Diritti dell’Uomo).
Parallelamente, il parlamento ungherese ha invece approvato una legge che limita il diritto di manifestazione e vieta le proteste “vicino alle abitazioni dei politici” per evitare “violazioni della privacy”.
Libertà di espressione: la riforma introdotta dal Parlamento ungherese prevede un ampio controllo da parte dello Stato del settore dei media.
Ci si trova praticamente di fronte a un monopolio governativo delle agenzie di stampa, gestite da un solo provider pubblico che si occupa della distribuzione delle notizie: la legge ha infatti potenziato il ruolo dell’Autorità Nazionale delle Telecomunicazioni (“Media Authorithy”) che provvede adesso a smistare le notizie a tutti gli organi di stampa pubblici, controllandone così il loro contenuto e il loro tenore.
Le Autorità preposte al controllo del settore, inoltre, soffrono di scarsa indipendenza nei confronti del potere politico e hanno comunque poteri di sanzionatori troppo deboli.
Libertà accademica: la “Central European University” (fondata dal miliardario-mecenate americano Gyorgy Soros) è finita sotto attacco da parte del governo Orbán che, grazie a un emendamento sull’istruzione universitaria, ha obbligato le università straniere presenti in Ungheria ad avere una sede riconosciuta anche nel loro Paese d’origine per poter operare sul territorio magiaro. Gli atenei incapaci di adeguarsi sono stati costretti a bloccare le iscrizioni già dall’anno accademico 2017-2018 e dovrebbero interrompere i propri corsi entro il 2021.
Inoltre, per poter operare in Ungheria, alle università è stata posta un’ulteriore condizione: l’esistenza di un accordo bilaterale tra il governo ungherese e quello del paese di provenienza, da stipularsi dopo l’entrata in vigore della legge.
L’intera manovra, più che una riforma del sistema universitario, sembra proprio essere stata architettata per colpire la persona di Soros, già accusato più volte dal partito di Orbán di “voler islamizzare l’Europa e distruggere la sua identità cristiana” tramite le sue attività filantropiche e umanitarie.
Libertà di culto: un emendamento del 2012 alla Legge Fondamentale conferiva al Parlamento ungherese il diritto esclusivo di riconoscere ufficialmente le Chiese presenti su territorio ungherese, per concedere loro il godimento dello “status governativo” necessario a ricevere sussidi statali. Nonostante siano stati apportati miglioramenti alla legge, molte Chiese che avevano perso il sostegno finanziario del Governo non hanno potuto recuperare il loro status precedente.
Libertà di associazione: la cosiddetta legge “stop-Soros”, a parere delle Nazioni Unite, interferisce in maniera arbitraria e ingiustificata nell’attività di alcune Organizzazioni Non Governative (ONG), specialmente quelle che si occupano della protezione dei diritti umani e di migranti in Ungheria, le discredita e addossa loro un eccessivo numero di adempimenti per continuare ad operare.
Al fine di scoraggiare interferenze straniere su suolo magiaro, infatti, la legge obbliga tutte le ONG che si occupano di migrazione e di accoglienza aventi sede in Ungheria a pagare una “tassa speciale” del 25% sui finanziamenti ricevuti dall’estero, anche sotto forma di donazioni.
Inoltre, tutte le ONG attive in Ungheria nell’assistenza a profughi e rifugiati devono adesso ricevere l’esplicita autorizzazione ad operare del Ministero dell’Interno ungherese.
In caso l’esame del Ministero non vada a buon fine, la legge contempla la possibilità di schedare l’ONG come una organizzazione “che lavora per l’estero e per interessi stranieri” oppure di metterla al bando se, a seguito delle indagini effettuate, dovesse essere ritenuta una “minaccia alla sicurezza nazionale”.
La “Open Society”, la ONG fondata e finanziata da Soros, ha -tra l’altro- appena presentato istanza davanti alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo e alla Corte Costituzionale ungherese per contestare la legittimità di queste normative.
Diritti di uguaglianza: la Legge Fondamentale prevede tuttora una definizione restrittiva di famiglia, stabilendo che essa è basata sul matrimonio fra uomo e donna e sulla relazione genitori-figli. Con questi criteri, la Legge fondamentale legittima indirettamente la discriminazione verso altre forme di unione (ad esempio le coppie formate da persone dello stesso sesso) e nega loro i medesimi diritti delle coppie tradizionali.
Le Nazioni Unite segnalano inoltre come gli atteggiamenti di tipo patriarcale e la retorica sessista siano ancora culturalmente prevalenti in Ungheria.
Diritti delle minoranze: l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite (2018) esprime preoccupazione per i sempre più diffusi atteggiamenti di discriminazione e di esclusione di cui soffre la comunità Rom in Ungheria, nonché per il permanere sulla scena pubblica di stereotipi antisemiti e incitamento all’odio razziale.
In particolare, sembrano sempre più diffusi i fenomeni di segregazione dei bambini Rom in scuole speciali per ragazzi con disordini mentali lievi, a causa di errate e superficiali diagnosi.
Diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati: le riserve maggiori riguardano una legge recentemente approvata che dispone di recludere all’interno di strutture dedicate tutti i richiedenti asilo (con l’eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore ai 14 anni) fino a che non abbiano ottenuto una risposta alla loro domanda di protezione internazionale, al fine di impedire loro di spostarsi liberamente sul territorio nazionale e all’interno dell’Unione Europea.
Inoltre, “collocare cittadini stranieri sul territorio del Paese è vietato, salva l’autorizzazione del Parlamento” e le pene previste vanno fino ad un anno di carcere.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha espresso grande preoccupazione anche per le tempistiche incerte della detenzione, per l’assenza di garanzie procedurali nell’esame dei casi personali dei richiedenti asilo e per lo stato delle strutture dove vengono alloggiati i migranti.
Diritti sociali: uno dei punti più controversi è quello relativo alle misure intraprese dal parlamento ungherese per la criminalizzazione dei senzatetto.
L’ultima proposta di modifica costituzionale mira infatti a identificare molte aree pubbliche come non idonee al vagabondaggio, bandendo del tutto la possibilità di dimorarvi abitualmente (sia per dormire sia per predisporvi rifugi improvvisati) e punendo tali comportamenti con multe molto salate, senza peraltro avere predisposto politiche sociali efficaci per contrastare il fenomeno, fronteggiando il problema della carenza di alloggi per le fasce più deboli della popolazione.
Il “draft report” Sargentini dell’11 Aprile 2018, in .pdf (scaricabile):
20180411RES01553 sargentini report hungary