Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è disciplinato in Italia dall’art. 12 del Decreto Legislativo 286/1998.
Il primo comma del suddetto decreto è dedicato alle cosiddette “ipotesi semplici” di favoreggiamento dell’ingresso clandestino, e dispone che chiunque promuova, diriga, organizzi, finanzi o effettui il trasporto di stranieri nel territorio italiano (o comunque compia altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso in Italia o in altro Stato del quale la persona non sia cittadina né residente) debba essere sanzionato con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per persona fatta entrare illegalmente in Italia.
Vengono considerati “aggravanti” (che quindi aumentano la pena detentiva da cinque a quindici anni) il favoreggiamento dell’ingresso o la permanenza illegale nello Stato di cinque o più persone, il fatto di aver esposto la persona trasportata a pericolo per la sua incolumità o a pericolo di vita, il fatto di aver sottoposto la persona trasportata a trattamento inumano o degradante, il fatto che il trasporto della persona sia stato effettuato da tre o più persone in concorso tra loro che abbiano utilizzato servizi internazionali di trasporto, documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti, il fatto che gli autori del trasporto illegale abbiano avuto disponibilità di armi o materie esplodenti (comma 3).
La pena detentiva è aumentata ancora e la sanzione amministrativa sale a 25.000 euro se i fatti sono commessi al fine dello sfruttamento della prostituzione, di sfruttamento minorile o anche al solo fine di trarne qualche profitto (comma 3-bis).
Il quinto comma disciplina invece il favoreggiamento della permanenza illegale sul suolo italiano al fine di trarne un ingiusto profitto, che è punito con la reclusione fino a quattro anni e una multa fino a 15.000 euro.
Inoltre, chiunque dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il comma 9-bis prevede infine che la nave italiana in servizio di polizia che incontri nel mare territoriale (o nella zona contigua) una nave di cui si ha fondato motivo di ritenere sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, può fermarla, sottoporla ad ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato.
I fatti – La Proactiva Open Arms e la Guardia Costiera Libica
Il giorno 15 marzo 2018 la Centrale Operativa del Comando in Capo della Squadra Navale Italiana (CINCNAV) comunica alla Centrale Operativa dell’IMRCC di Roma (l’Italian Maritime Rescue Coordination Center) che la sorveglianza aerea ha avvistato, a circa 40 miglia nautiche a nord-est di Tripoli, un gommone con diversi migranti a bordo.
L’IMRCC Roma contatta la motonave della ONG Proactiva Open Arms, battente bandiera spagnola e firmataria nel 2017 del “Codice di Condotta per le ONG” promosso dal Ministro Minniti per la regolamentazione del soccorso in mare dei migranti, richiedendole di dirigere sul posto per valutare la situazione.
Parallelamente, provvede ad inviare un messaggio alla Guardia Costiera Libica per informarla dell’evento.
Poco dopo, la Guardia Costiera Libica comunica all’IMRCC la decisione di assumersi la responsabilità del soccorso; e richiede espressamente all’IMRCC di far allontanare l’unità della ONG per evitare criticità durante il soccorso.
Nel mentre, vengono identificati altri due gommoni con circa 100 persone a bordo: all’inizio la Libia si prende carico di salvarne uno (in aggiunta al primo salvataggio già programmato) e alla motonave Open Arms viene richiesto di dirigersi sull’altro; poco dopo, tuttavia, la Guardia Costiera Libica, comunica l’assunzione di responsabilità del coordinamento di tutti i soccorsi (quindi di tutti i 3 gommoni avvistati).
La Open Arms comunica però che ha intenzione di continuare a cercare i gommoni con a bordo i migranti e che, una volta intercettati, provvederà ad effettuare una valutazione delle condizioni di stabilità delle imbarcazioni e delle condizioni di salute degli stessi tramite il loro team sanitario.
La Open Arms si imbatte così in un gommone con migranti a bordo che imbarcava acqua; in mancanza di unità governative libiche in zona, inizia a recuperare i naufraghi, assumendosi la responsabilità del soccorso.
La Open Arms si reca poi in prossimità del secondo gommone, dove si imbatte nella Guardia Costiera Libica e con la quale ingaggia una lunga trattativa per la consegna delle persone soccorse; la Open Arms si oppone nettamente alla consegna dei migranti e i libici cominciano ad ostacolarne le operazioni, anche con la minaccia dell’uso delle armi.
Al termine del salvataggio, la Open Arms ha a bordo 218 naufraghi e chiede istruzioni: Roma risponde che, non avendo operato il soccorso sotto il suo coordinamento, la ONG deve rivolgersi alle autorità dello stato di bandiera, ossia alla Spagna.
La situazione resta in una fase di stallo.
Il giorno seguente, la motonave Open Arms segnala una grave situazione sanitaria a bordo che riguarda un neonato di tre mesi e la madre; Roma suggerisce di contattare le autorità maltesi, in quando Paese più vicino alla posizione attuale della nave.
Malta effettua il soccorso di mamma e bambino e chiede al capitano della Open Arms quali siano le sue intenzioni in merito agli altri occupaneti della nave; il capitano, però, non dà alcuna risposta e riprende la navigazione allontanandosi dopo il trasbordo.
A questo punto inizia un batti e ribatti tra le autorità italiane, maltesi e spagnole per l’individuazione di un porto sicuro dove far sbarcare i migranti.
Roma ribadisce la sua posizione (tocca alla Spagna individuare un porto sicuro), Madrid invia un messaggio alla Open Arms e all’IMRCC di Roma, chiedendo di contattare le autorità maltesi ai fini dell’individuazione di un luogo sicuro di sbarco.
La Open Arms tuttavia ritiene (anche sulla base di esperienze passate) che sia inutile interpellare i maltesi in materia (secondo il capitano si sarebbero rifiutati -come sempre- di offrire un porto sicuro), ignora le comunicazioni ricevute e prosegue verso le coste italiane.
Verso sera entra nelle acque territoriali italiane e il Ministero dell’Interno autorizza a dirigersi verso il porto di Pozzallo.
La tesi del GIP di Catania e le memorie difensive della Proactiva Open Arms
Il GIP di Catania sottolinea come la Open Arms abbia deciso di effettuare il salvataggio, prodigandosi “oltre ogni limite per far propri i migranti”, nonostante il preciso ordine di non intervenire impartito dalla Centrale Operativa dell’ IMRCC di Roma e in violazione degli obblighi contenuti nel Codice di Condotta firmato dalla stessa ONG.
Inoltre, la nave dell’ONG ha diretto verso l’Italia in violazione delle disposizioni successivamente impartite sia dalle autorità spagnole, che dalle autorità italiane, le quali avevano comunicato loro di richiedere alle autorità maltesi l’indicazione di un porto sicuro in cui approdare.
È quindi manifesta, secondo il GIP di Catania, la volontà della ONG di condurre i migranti solo ed esclusivamente su territorio Italiano e, in particolare, in Sicilia, disattendendo volutamente tutte le indicazioni e disposizioni impartite dalle autorità superiori, preposte alla direzione delle operazioni di salvataggio.
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La Proactiva Open Arms pone invece ripetutamente l’accento sull’aspetto umanitario della questione, sottolineando come sarebbe stato praticamente certo che il rientro dei migranti in Libia avrebbe significato per gli stessi l’andare incontro a gravi ripercussioni, con esposizione a violenze di ogni tipo e, comunque, alla ricollocazione in campi profughi dove le condizioni di vita sono intollerabilmente spaventose, e dove i diritti umani non vengono minimamente rispettati.
Si giustifica poi adducendo l’applicazione della scriminante prevista dall’articolo 54 del codice penale, ovvero lo “stato di necessità”, secondo cui “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Nel caso in specie, tuttavia, secondo il GIP non si rilevano gli elementi fondanti della norma citata: il salvataggio dei migranti da parte della Open Arms è stato operato quasi in concorrenza con la Guardia Costiera Libica e, quindi, non può certo affermarsi che gli stessi versassero in imminente pericolo di vita.
Inoltre, quanto previsto dall’art. 12, comma 2, del DLgs 286/1998 ovvero che “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno” si applica soltanto nell’ipotesi in cui i cittadini extracomunitari si trovino già nel territorio italiano, cosa non applicabile al caso in esame.
Il GIP di Catania non nega l’esistenza di torture o trattamenti inumani e degradanti in Libia; tuttavia, sottolinea che è necessario operare un contemperamento tra interessi confliggenti, ovvero la salvaguardia della vita umana dei migranti e la tutela dell’ordine pubblico, e delle esigenze di sicurezza e di pacifica convivenza all’interno di ogni singolo Stato.
Il “Codice di Condotta” non costituisce un compendio di regole la cui violazione determina automaticamente l’insorgenza di un reato e della conseguente sanzione penale; però, l’infrazione di questo autoregolamento rivela il rifiuto di operare all’interno di precisi precetti prefissati dallo Stato Italiano: non può essere consentito alle ONG di creare autonomi corridoi umanitari al di fuori del controllo statuale ed internazionale.
Secondo il GIP poi, la tesi di un ipotetica violazione del principio di non-respingimento, di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, in caso di consegna dei migranti ai libici “non può essere condivisa, poiché le motovedette libiche erano intervenute per effettuare una operazione di soccorso, come richiesto da IMRCC di Roma e sotto l’egida italiana con le navi militari di stanza a Tripoli, e perciò non si può parlare minimamente di respingimento, ma solamente di soccorso e salvataggio in mare”.
Inoltre, secondo il giudice di Catania, “il concetto di porto sicuro ove condurre i migranti salvati in mare, connota un approdo senza alcuna specificazione circa il trattamento che nel luogo prescelto sia loro destinato, almeno allo stato della legislazione in materia”.
Infine, chiosa il GIP, “il fatto che i campi profughi in Libia non siano un esempio di limpido rispetto dei diritti umani, non determina automaticamente che le ONG possano operare in autonomia e per conto loro, travalicando gli accordi e gli interessi degli Stati coinvolti del fenomeno migratorio, e violando la normativa regolamentare delle operazioni di salvataggio”.
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La condotta dell’ONG può quindi essere certamente inquadrata nella fattispecie criminosa di cui all’art. 12 comma 3 lett. a) e b) e comma 3 bis della legge 286 del 1998 (ovvero favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato dal fatto che le persone trasportate sono più di cinque e dal fatto di essere state esposte a pericoli per la loro vita), poiché l’attività di trasporto dei migranti (cittadini extracomunitari) rappresenta un segmento concretamente decisivo per consentirne l’illegale ingresso nel territorio dello Stato Italiano, che non sarebbe stato altrimenti possibile.
Il GIP ritiene quindi sussista il presupposto del “fumus commissi delicti” voluto dall’art. 321 codice di procedura penale che porta al provvediento cautelare del sequestro preventivo del mezzo, per impedire alla Open Arms di ripetere in futuro azioni simili.
Il riesame del GIP di Ragusa, competente territorialmente, per la conferma del decreto di sequestro
Il GIP di Ragusa -territorialmente competente dato lo sbarco a Pozzallo- sottolinea, a sua volta, come si possa pacificamente affermare che la Open Arms abbia soccorso i migranti in autonomia e senza coordinarsi con la Guardia costiera libica, pur essendo stata preventivamente informata che quest’ultima aveva assunto la responsabilita del soccorso nella sua zona SAR (“Search and Rescue”).
Lo stesso “Codice di Condotta”, firmato anche dalla ONG Open Arms, reca l’impegno, al primo punto, di “non entrare nelle acque territoriali libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata e di non ostacolare l’attivita di Search and Rescue da parte della Guardia costiera libica”
Anche il fatto che Malta non abbia ratificato gli emendamenti alle convenzioni SAR e SOLAS (Safety of life at sea) sull’obbligo di fornire un porto sicuro da parte del Paese nella cui zona SAR è avvenuto il salvataggio, adducendo di non potere rispettare tale obbligo a causa della ristrettezza del suo territorio; non significa che si possa configurare un automatico ed implicito rifiuto di aiuto per ogni caso specifico.
Tuttavia, il GIP di Ragusa sottolinea come non ci si possa fermare al solo problema del recupero dei migranti in mare: le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro, come previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo il 1979.
Un “luogo sicuro” è un luogo “dove la vita delle persone soccorse non è piu minacciata e dove è possibile poter far fronte ai loro bisogni fondamentali, come cibo, riparo e cure sanitarie” (come disposto dalla risoluzione MSC.167/78 adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS).
Non può quindi essere un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzione od a sanzioni o trattamenti inumani o degradanti, o dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di orientamento politico.
In difetto di prove dell’esistenza di “porti sicuri” in Libia e, anzi, in presenza di schiaccianti prove contrarie (si veda ad esempio il rapporto “Libia: un oscuro intreccio di collusione” di Amnesty International), la scriminante dello stato di necessità ex articolo 54 del codice penale rimane in piedi.
Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è quindi “giustificato” dato che chi lo ha commesso vi è stato costretto dalla necessità di salvare i migranti dal pericolo attuale di un danno grave alla loro persona, se fossero stati riportati in Libia.
La vicenda è inoltre connotata da situazioni di “fluidità e incertezza” che si riflettono certamente sul dolo, quali ad esempio la mancata ratifica di Malta agli emendamenti alle convenzioni SAR e SOLAS e la confusione operativa che ne deriva o il fatto di ritenere corretto (sulla base di prassi attuate in passato) interloquire immediatamente con l’MRCC italiano quando si riceve la notizia di un evento SAR nel Mediterraneo centrale.
Considerato quanto sopra, il GIP di Ragusa, a differenza del suo collega di Catania, non ravvisa il “fumus commissi delicti” e rigetta il decreto di sequestro preventivo della nave Open Arms permettendo alla ONG di riprendere il mare.
Il “Decreto di convalida e di sequestro preventivo” del GIP di Catania del 27 Marzo 2018, in .pdf (scaricabile):
Decreto di convalida e di sequestro preventivo - GIP di Catania - 27 Marzo 2018
Il “Decreto di rigetto di richiesta di sequestro preventivo” del GIP di Ragusa del 16 Aprile 2018, in .pdf (scaricabile):
Decreto di rigetto di richiesta di sequestro preventivo - GIP di Ragusa - 16 Aprile 2018