Lo scorso febbraio, le agenzie battevano la notizia che la Corte di Cassazione aveva confermato la condanna per omicidio volontario aggravato di un pensionato fiorentino che aveva strangolato la moglie ottantottenne malata di Alzheimer.
I fatti
Il signor Vergelli è sempre più provato, fisicamente e psicologicamente, dalla malattia della moglie Nella.
Nella soffre ormai da tempo di una patologia invalidante che ne ha alterato le facoltà mentali e la capacità di deambulazione, è depressa, non riesce più nemmeno a badare a se stessa e a condurre una normale vita quotidiana.
Lui conosce i desideri che la moglie gli ha espresso in precedenza e sa che avrebbe preferito “essere trovata una mattina morta sul letto” piuttosto che continuare a soffrire.
Inoltre, non ha i soldi necessari per ricoverarla in una struttura assistenziale ed è preoccupato che il problematico fardello della gestione della moglie ricada sulla figlia quando lui non ci sarà più.
Quella sera, Nella non reagisce agli ansiolitici e continua ad agitarsi; solo all’alba riesce a riposare un po’ e a quel punto il Vergelli, stremato, decide di porre fine alle sue sofferenze strangolandola con una sciarpa.
Si costituisce immediatamente dopo, ammettendo la propria totale responsabilità davanti alla polizia e viene poi condannato dalla Corte di assise di appello di Firenze a sette anni e otto mesi di reclusione per omicidio volontario aggravato.
Il ricorso in Cassazione
Il ricorso in Cassazione è motivato dal fatto che, al caso del signor Vergelli, non era stata riconosciuta l’attenuante di cui all’articolo 62, comma 1, numero 1, del codice penale.
Tale articolo recita che l’avere agito “per motivi di particolare valore morale o sociale” possa fungere come circostanza attenuante del reato.
Cosa si intende esattamente per “motivi di particolare valore morale o sociale”?
Secondo la giurisprudenza, sono di “particolare valore morale e sociale” quei moventi che corrispondono ad un’etica ispirata ai più elevati valori della natura umana, che godono dell’approvazione della coscienza comune e risultano altresì avvertiti e favorevolmente valutati dalla società civile.
Il “valore morale e sociale” del movente che ha determinato la condotta illecita non deve essere considerato come tale da ambienti culturali o territoriali ristretti ma deve essere espressione della prevalente coscienza collettiva; non basta quindi l’intima convinzione dell’agente di stare perseguendo un fine moralmente apprezzabile ma è necessaria anche l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici e sociali ritenuti preminenti e approvati dalla collettività.
Ad esempio, è stato escluso in passato l’applicazione dell’attenuante nei casi in cui il movente era quello della gelosia, la causa d’onore, la vendetta o financo la necessità di sopperire ai bisogni familiari.
Si valuta infine, per l’applicazione del trattamento sanzionatorio attenuato, il mezzo prescelto rispetto al fine perseguito (viene ad esempio denegato nei casi di particolare crudezza dell’esecuzione, come quando si giunge al sacrificio estremo della vita umana) nonché la presenza, anche implicita, di interessi di natura egoistica dell’agente.
Secondo il signor Vergelli, nel caso specifico dell’omicidio perpetrato per pietà verso il congiunto gravemente sofferente, il movente era stato il desiderio di far cessare le sofferenze della moglie, nella convinzione di esaudire le volontà della stessa, non più in grado di esprimerle.
Tale condotta, sempre secondo il signor Vergelli e i suoi difensori, avrebbe dovuto essere meritevole di una qualche considerazione, poiché animata da un movente connotato da un certo “valore sociale e morale” (la pietà, l’esecuzione della volontà della defunta, la liberazione dalla sofferenza), idoneo all’applicazione del relativo attenuante.
La Cassazione ritiene però che le tematiche in oggetto, quali l’eutanasia e i trattamenti di fine vita, siano ancora oggetto di ampio dibattito nella società e non abbiano ancora ottenuto un generale apprezzamento positivo.
Anzi, nella società contemporanea persistono ampie correnti di opinione che contrastano le pratiche eutanasiche e di fine vita: per tale ragioni non si ravvisano gli estremi per l’applicazione dell’attenuante di cui all’articolo 62, comma 1, numero 1, del codice penale e il ricorso viene rigettato.
L’omicidio pietatis causa (art. 579 codice penale)
In chiusura, vale la pena sottolineare che il valido ed esplicito consenso della vittima può solo derubricare il reato da omicidio volontario a omicidio del consenziente (o pietatis causa, ovvero perpetrato per pietà verso il congiunto gravemente sofferente), data l’indisponibilità nell’ordinamento italiano del bene vita.
Il legislatore sanziona meno gravemente l’omicidio pietatis causa (fino a sedici anni di reclusione contro un minimo di ventuno e senza applicazione delle aggravanti di cui all’articolo 61 del codice penale) perché non può trascurare il fatto che la vittima consenta alla propria morte.
Va però sottolineato che il consenso della vittima deve essere effettivo, cioè esplicito e non equivoco, incondizionato e deve sussistere fino al momento in cui viene commesso il fatto. Inoltre, il consenso deve essere dato da persona nel pieno esercizio delle sue facoltà mentali e tale non è il consenso prestato dall’infermo di mente o da persona in stato di deficienza psichica.
Per tale ragione il signor Vergelli era stato condannato per omicidio volontario aggravato (la malattia ha alterato le facoltà mentali di Nella), senza godere inoltre dell’attenuante per motivi di particolare valore morale e sociale.
Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza numero 7390 del 2018, in .pdf (scaricabile):
Cassazione Penale, Sezione I, Sentenza numero 7390 del 2018