L’eccezionale flusso migratorio, che gli Stati Membri affacciati sul Mediterraneo si erano trovati ad affrontare nell’estate del 2015, aveva indotto le istituzioni dell’Unione Europea a varare misure concrete di solidarietà per i Paesi in prima linea, sostanziatesi nel cosiddetto “Emergency Relocation Scheme”.
Sulla base di tale programma, il 14 settembre 2015 il Consiglio dell’Unione Europea adotta la Decisione (UE) 2015/1523 per ricollocare, dalla Grecia e dall’Italia in altri Stati Membri, 40.000 persone “in evidente bisogno di protezione internazionale”.
Poco dopo, siamo al 22 settembre 2015, si decide tramite la Decisione (UE) 2015/1601 di prevedere il ricollocamento di ulteriori 120.000 soggetti.
In aggiunta alle procedure di ricollocamento (o “ricollocazione”), l’Unione dispone anche di incrementare l’ammontare degli aiuti economici stanziati a favore di Italia e Grecia e predispone un sostegno operativo da parte dell’“Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo” (EASO) per aiutare gli Stati Membri nell’identificazione dei migranti e nell’esame delle loro domande di protezione internazionale.
A chi si applicano i ricollocamenti
Vengono ricollocati solo i richiedenti che abbiano già presentato domanda di protezione internazionale in Italia o Grecia e per i quali, secondo le regole di Dublino III, Italia o Grecia sarebbero state le nazioni competenti all’esame della domanda.
Vengono inoltre ricollocati i richiedenti appartenenti a una nazionalità per la quale il tasso di concessione di protezione internazionale è pari o superiore al 75% delle domande presentate, calcolato sulla base di specifici parametri. Al momento, secondo il sito web dell’EASO, ricadono in quest’ultimo caso i richiedenti provenienti dai seguenti Paesi: Eritrea, Bahamas, Bahrain, Bhutan, Qatar, Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen.
La Decisione 2015/1523 prevede il ricollocamento di 24.000 persone dall’Italia e 16.000 dalla Grecia e si applica alle persone giunte nel territorio dell’Italia e della Grecia dal 16 settembre 2015 fino al 17 settembre 2017 e ai richiedenti protezione internazionale giunti nel territorio di tali Stati membri a decorrere dal 16 agosto 2015.
La Decisione 2015/1601 prevede invece il ricollocamento di 15.600 persone dall’Italia, 50.400 dalla Grecia e altre 54.000, sempre dall’Italia o dalla Grecia, in proporzione a quanto sopra (ovvero 12.760 dall’Italia e 41.240 dalla Grecia) e si applica alle persone giunte nel territorio dell’Italia e della Grecia a decorrere dal 25 settembre 2015 fino al 26 settembre 2017 e ai richiedenti protezione internazionale giunti nel territorio di tali Stati membri a decorrere dal 24 marzo 2015.
Le quote di migranti da ricollocare assegnate ad ogni Paese dalla Decisione 2015/1601 si basano su diversi indicatori quali il PIL dello Stato Membro, la sua densità demografica, il tasso di disoccupazione e il numero di richiedenti protezione internazionale già presenti sul territorio.
La procedura
Ciascuno Stato Membro designa un punto di contatto nazionale per i ricollocamenti e indica, almeno ogni tre mesi, il numero di richiedenti che è in grado di accogliere.
In Italia, se ne occupa l’Unità Dublino del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, presso il Ministero dell’Interno a Roma, che agisce in stretta collaborazione con l’EASO.
Sulla base delle cifre comunicate, e previo scambio di informazioni con i Paesi interessati, Italia e Grecia predispongono i trasferimenti dei richiedenti asilo in tali Paesi entro due mesi dalla comunicazione delle disponibilità (ma si può arrivare anche a tre mesi e mezzo).
In caso la procedura non si concluda nelle tempistiche sopra menzionate, Italia e Grecia restano responsabili dell’esame delle domande di protezione internazionale.
Prima di procedere al trasferimento, Italia e Grecia garantiscono l’identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali dei migranti e la loro trasmissione al sistema Eurodac e provvedono altresì ad informare il migrante, in una lingua a lui comprensibile, in merito al programma di ricollocamento.
Gli Stati Membri provvedono inoltre a far sì che le persone appartenenti allo stesso nucleo familiare vengano ricollocate nello stesso Paese ed a dare la precedenza ai soggetti vulnerabili (ad esempio vittime di tortura o soggetti affetti da disagio mentale) e ai minori.
Per ciascuna persona ricollocata, lo Stato membro di ricollocazione riceve la somma di 6.000 euro e l’Italia o la Grecia la somma forfettaria di almeno 500 euro (come previsto dalla Decisione 2015/1601).
Vi è infine la possibilità di concludere intese bilaterali con gli “Stati associati” per procedere a ricollocamenti anche in destinazioni al di fuori dell’Unione Europea: solo Liechtenstein, Norvegia e Svizzera hanno tuttavia accettato di partecipare, mentre Islanda, Danimarca e Regno Unito si sono tirati indietro.
I ricollocamenti, benché ispirati ai principi di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra Stati Membri, sono comunque su base volontaria e hanno carattere “temporaneo ed eccezionale” (fino a un massimo di due anni).
Parallelamente, in cambio del sostegno offerto, si chiede all’Italia e alla Grecia di fornire soluzioni strutturali per ovviare a future pressioni di carattere eccezionale che dovessero verificarsi nuovamente sul loro territorio: il Consiglio si aspetta dall’Italia una “tabella di marcia” che illustri le misure pensate per migliorare capacità, qualità ed efficacia di accoglienza, asilo e rimpatrio, pena la sospensione dei ricollocamenti per un periodo massimo di sei mesi.
Fatto salvo quanto sopra, e a meno di ulteriori fondati motivi che facciano ritenere la persona ricollocata come un pericolo per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, gli Stati Membri non possono rifiutare il ricollocamento dei richiedenti.
La Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015, in .pdf (scaricabile):
Decisione Consiglio UE 2015-1523 (14set2015)
La Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, in .pdf (scaricabile):
Decisione Consiglio UE 2015-1601 (22set2015)
Cosa accade nella realtà
Secondo il rapporto della Commissione UE “Progress report on the Implementation of the European Agenda on Migration”, aggiornato al 07 marzo 2018, il numero totale di ricollocamenti dall’Italia, effettuati dall’inizio del programma, è di appena 11.999 persone, con Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Polonia e Slovacchia ancora a quota zero.
Lo Stato Membro che ha ricollocato, in valore assoluto, più migranti dall’Italia è stata la Germania (4909 persone) mentre quelli che hanno aiutato maggiormente il nostro Paese in termini percentuali sono stati Finlandia (+256% rispetto alle quote fissate dalla Decisione 2015/1601), Lussemburgo (+444%) e Svezia (+245%).
Da sottolineare anche l’importante contributo fornito da Norvegia e Svizzera, in qualità di “Stati associati”.
Il Progress report on the Implementation of the European Agenda on Migration del 14 Marzo 2018, in .pdf (scaricabile):
Progress Report Implementation European Agenda Migration 14mar2018
In generale, quindi, il programma di ricollocamento non sta completamente funzionando e il clima si è tutt’altro che svelenito.
La Commissione Europea ha avviato lo scorso Giugno 2017 una procedura di infrazione nei confronti di Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia per non aver rispettato gli impegni derivanti dalle Decisioni del Consiglio del 2015.
Rammentiamo che la procedura di infrazione comincia con una lettera della Commissione con cui si richiedono spiegazioni allo Stato Membro, cui segue una “opinione motivata” che concede normalmente allo Stato un tempo massimo di due mesi per conformarsi al diritto dell’Unione; in caso non si riesca ad ottenere nessun risultato (come nel caso specifico), lo Stato è deferito alla Corte di Giustizia (cosa avvenuta il 7 dicembre 2017) che può decidere di sanzionarlo col pagamento di una somma di denaro forfettaria più una somma giornaliera da versarsi fino a che non si sia posto termine all’infrazione.
Il 6 Settembre 2017, la Corte di Giustizia Europea ha inoltre rigettato i ricorsi che la Repubblica Slovacca (causa C‑643/15) e l’Ungheria (causa C‑647/15), sostenute dalla Polonia, avevano presentato contro la Decisione 2015/1601 del Consiglio (maggiori dettagli in questo articolo).
Non va poi dimenticato che, proprio in Ungheria, si era tenuto a inizio Ottobre 2016 il referendum consultivo relativo al programma di ricollocamento voluto dal premier Orbán. Il 98% dei votanti si era espresso contro il programma europeo, anche se l’affluenza era stata solo del 43%, non permettendo così al referendum di raggiungere il quorum previsto.
Anche l’Austria si è recentemente lamentata del sistema di quote per il ricollocamenti e, per bocca del suo cancelliere Kurz, ha dichiarato: “Costringere i Paesi ad accogliere i rifugiati non aiuterà l’Europa. Se continuiamo così divideremo l’Unione europea e gli Stati membri decideranno ognuno per conto proprio quante persone accogliere”.
Da notare che l’Austria aveva peraltro già beneficiato, tramite la Decisione di Esecuzione (UE) 2016/408 del 10 marzo 2016, della sospensione temporanea (dal 10 marzo 2016 al 11 marzo 2017) del ricollocamento del 30% dei richiedenti protezione internazionale a lei assegnati a causa “dell’afflusso notevole e imprevisto” di migranti provenienti da altri Paesi dell’Unione, in ragione anche dell’alto numero di richiedenti protezione internazionale pro capite già presenti in Austria.
Il medesimo approccio era stato adottato per la Svezia, con sospensione dei suoi obblighi dal giugno 2016 al giugno 2017 (Decisione (UE) 2016/946 del 09 giugno 2016).
La Decisione di Esecuzione (UE) 2016/408 del Consiglio del 10 marzo 2016, in .pdf (scaricabile):
Decisione (UE) 2016-408, 10mar2016 - Austria
La Decisione (UE) 2016/946 del Consiglio del 09 giugno 2016, in .pdf (scaricabile):
Decisione (UE) 2016-946, 09giu2016 - Svezia