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Polonia: la politica mette il bavaglio alla magistratura. L’intervento della Commissione UE

La Commissione Europea ha deciso, a fine Dicembre 2017 e dopo quattro Raccomandazioni inoltrate alla Polonia, di proporre al Consiglio UE di attivare la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea (TUE).

La motivazione risiede nella riforma della giustizia che il partito populista al potere (Prawo i Sprawiedlywosc, ovvero Legge e giustizia) sta portando avanti da ormai più di due anni in Polonia.
Un susseguirsi ininterrotto di modifiche (sono state emanate più di 13 leggi) miranti a indebolire la magistratura e a sottoporla a indebite pressioni da parte del potere politico, che sono andate a minare in maniera preoccupante i principi alla base dello stato di diritto quali l’indipendenza della magistratura, l’irremovibilità dei giudici, il principio della certezza del diritto.
L’Unione si fonda infatti su un insieme di valori definiti all’articolo 2 del TUE (dal rispetto della dignità umana, alla libertà, alla democrazia) e condivisi da tutti gli Stati Membri, tra cui rientra anche il rispetto dello stato di diritto.

Secondo l’articolo 7 del TUE il Consiglio dovrà ora ascoltare la posizione della Polonia e, una volta ottenuto il consenso del Parlamento Europeo, potrà rivolgere, a maggioranza di quattro quinti dei suoi membri, ulteriori raccomandazioni alla Polonia per porre rimedio all’ “evidente rischio di violazione grave” dello stato di diritto.
Se la cosa non dovesse risolversi il Consiglio potrà constatare, all’unanimità (chiaramente senza la partecipazione della Polonia), l’esistenza “di una violazione grave e persistente” e procedere poi, a maggioranza qualificata, all’adozione di una decisione nei confronti della Polonia che abbia l’effetto di sospendere alcuni dei sui diritti derivanti dall’applicazione dei trattati (come ad esempio l’accesso ai fondi europei), compresi il diritto di voto in seno al Consiglio.

L’Ungheria di Viktor Orbán pare però già pronta a salvare gli amici polacchi.

La prima raccomandazione della Commissione
La prima raccomandazione della Commissione è datata Luglio 2016.
La Polonia licenzia le prime leggi di riforma del sistema giudiziario a fine 2015: nei mesi di Novembre e di Dicembre il parlamento polacco, insediatosi dopo nuove elezioni, emana con procedura d’urgenza una legge che emenda l’esistente normativa che regolamenta il funzionamento della Corte Costituzionale polacca (“Constitutional Tribunal”).

Il suddetto emendamento apporta le seguenti modifiche alla legge vigente:
1. accresce il quorum di presenza per la tenuta delle udienze, fissandolo nel numero di 13 giudici su 15 totali (nella legge precedentemente in vigore la soglia era fissata a 9 giudici). La Commissione UE considera questa nuova soglia come troppo elevata, tale da poter impedire alla Corte di deliberare con continuità.
2. accresce la maggioranza dei voti necessaria per giungere a sentenza, portandola a due terzi dei presenti.
La Commissione UE considera questa nuova soglia come troppo elevata, tale da poter aggravare in maniera significativa il processo decisionale della Corte.
3. prescrive che i procedimenti vengano trattati in stretto ordine cronologico, nell’ordine in cui sono stati iscritti a ruolo, senza alcuna valutazione di merito sulla natura e l’urgenza del procedimento stesso.
Anche in considerazione dell’alto numero di procedimenti pendenti, la Commissione UE considera che questo possa influire negativamente sulla capacità della Corte di prendere decisioni rapide sulla costituzionalità delle nuove leggi.
4. prevede che gli interessati debbano ricevere notifica dell’udienza con preavviso di tre mesi (sei nei casi più importanti), senza possibilità di eccezioni nemmeno in presenza di casi particolarmente urgenti.
Secondo la Commissione questa norma è incompatibile con il principio di ragionevole durata dei processi, potendo significativamente rallentare l’attività della Corte.
5. prevede che i procedimenti disciplinari contro i giudici costituzionali possano essere promossi dal Presidente della Repubblica o dal Ministro della Giustizia, con possibilità per il parlamento di decidere sulla rimozione di un giudice, su proposta della Corte.
La Commissione sottolinea con estrema preoccupazione come questa norma ponga a rischio l’indipendenza del potere giudiziario: i giudici sanno che alcuni procedimenti disciplinari promossi a loro carico potrebbero derivare da considerazioni di natura politica e sanno anche che, per le medesime ragioni, il potere legislativo potrebbe decidere di rimuoverli dalla loro carica.
6. annulla le nomine di tre giudici costituzionali (legittimamente scelti dal precedente parlamento) e dà la possibilità ai nuovi parlamentari di nominarne altri tre in sostituzione dei primi (ancora una indebita forma di pressione della politica nel campo della magistratura).

La Corte Costituzionale si oppone dichiarando l’emendamento incostituzionale.
Tuttavia, la pronuncia di incostituzionalità non viene pubblicata dal Governo in Gazzetta Ufficiale, restando così priva di efficacia.
Il nuovo emendamento prevede infatti dei limiti alla pubblicazione delle sentenze: l’articolo 89 dispone che nei 30 giorni successivi all’entrata in vigore dell’emendamento “le sentenze della Corte rilasciate precedentemente al 22 Luglio 2016”, secondo procedure non conformi alla legge sulla Corte Costituzionale (come ora emendata), “possano essere pubblicate a meno che non riguardino il rigetto di atti normativi”.
La Commissione UE considera inaccettabile che il potere esecutivo o legislativo possano influenzare la pubblicazione delle sentenze e chiede alla Polonia di rispettare le decisioni della Corte Costituzionale.

A Luglio 2016 il Parlamento emana quindi un nuova legge che:
1. riduce il quorum di presenza per la tenuta delle udienze a undici giudici;
2. prevede la maggioranza semplice dei voti per giungere a sentenza;
3. prevede che si possa derogare alla regola dello “stretto ordine cronologico” nei casi che trattino di libertà e diritti dei cittadini, sicurezza dello Stato o ordinamento costituzionale;
4. porta a trenta i giorni di preavviso necessari per fissare l’udienza;
5. rimuove il potere di iniziativa politica, precedentemente previsto, per i procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici;
6. prevede tuttavia che il Procuratore Generale (“Public Prosecutor-General”), che è anche Ministro della Giustizia, abbia il potere di ritardare o financo impedire l’esame di alcuni casi decidendo di non partecipare all’udienza;
7. prevede che almeno quattro giudici possano obiettare alla proposta di sentenza decisa dalla Corte e ritardare cosi il pronunciamento finale di tre o anche sei mesi;
8. prevede che alcuni procedimenti (tra cui ricadono le domande di revisione costituzionale delle leggi) siano sospesi per un periodo di sei mesi per integrare la documentazione in ottemperanza dei requisiti procedurali fissati dalla nuova legge (ritardando cosi le pronunce della Corte);
9. prevede che le udienze pianificate prima dell’entrata in vigore della nuova legge, nonché le date di pubblicazione delle sentenze, siano rinviate fino a che la composizione della Corte sia conforme a quanto previsto dalle nuove disposizioni legislative (una indebita interferenza del potere legislativo sui procedimenti pendenti, secondo la Commissione);
10. prevede l’entrata in vigore della legge dopo quattordici giorni, periodo troppo breve secondo la Commissione per permetterne una previa valutazione di costituzionalità.

La Commissione raccomanda quindi che le disposizioni attualmente vigenti, che possano avere un impatto sulla piena operatività della Corte e, di conseguenza, sull’effettività dell’esame di legittimità delle leggi, vengano prontamente rimosse.

La Raccomandazione della Commissione del 27 Luglio 2016 sullo stato di diritto in Polonia, in .pdf (scaricabile):

Raccomandazione della Commissione UE del 27 Luglio 2016

 

La seconda raccomandazione della Commissione
Ad Agosto 2016 la Corte Costituzionale polacca dichiara incostituzionale anche la nuova legge emendata a Luglio; tuttavia, la pronuncia di incostituzionalità, così come quella precedente riferita all’emendamento, non ha il via libera del Governo per essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale e resta quindi lettera morta.
La questione relativa alle nomine dei giudici costituzionali scelti dal precedente parlamento e mai insediatisi è ancora irrisolta.

A Dicembre 2016 il Senato approva altre tre leggi sulla materia, complementari a quelle emanate dalla Camera (Sejm).
Tali leggi reintroducono la possibilità di procedimenti disciplinari contro i giudici costituzionali da parte di organi politici (specificamente, da parte del Presidente della Repubblica), segnando un passo indietro rispetto ai progressi del Luglio 2016.

Prevedono inoltre la possibilità di pensionamento anticipato per i giudici in carica che non vogliano continuare a operare secondo le nuove regole, senza alcuna penalizzazione; cosa che secondo la Commissione rappresenterebbe l’ennesima indebita forma di pressione del legislativo nei confronti del potere giudiziario.

Le nuove leggi definiscono poi nuove regole di trasparenza in merito a investimenti/partecipazioni finanziarie dei giudici o a interessi economici dei loro familiari: in caso di mancata ottemperanza, la sanzione è la rimozione dalla carica, misura considerata eccessiva dalla Commissione.

L’articolo 194 della attuale Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica scelga il Presidente della Corte Costituzionale tra i candidati proposti dall’Assemblea Generale dei Giudici. Le nuove leggi prevedono però una nuova procedura per la selezione dei candidati da parte dell’Assemblea e dispongono che, nel periodo necessario all’implementazione di tale procedura, il Presidente della Repubblica possa liberamente scegliere il Presidente della Corte tra i giudici dotati di maggiore anzianità di servizio. Ancora una volta, un’indebita intromissione dell’esecutivo nel campo del giudiziario.
Il ruolo del Vice-Presidente della Corte viene infine seriamente depotenziato.

Il 19 dicembre 2016, a dimostrazione che le riserve della Commissione non erano del tutto infondate, il Presidente della Repubblica nomina Julia Przylębska come Presidente della Corte. La Przylębska inaugura il suo mandato ammettendo alla Corte i tre giudici costituzionali scelti dal nuovo parlamento (in sostituzione di quelli legittimamente nominati dal precedente parlamento) senza alcun valido fondamento giuridico e indice l’Assemblea Generale per la scelta del nuovo Presidente della Corte il giorno stesso. Dato lo scarso preavviso, alcuni giudici non possono partecipare e altri si assentano per solidarietà coi colleghi: l’Assemblea Generale si tiene comunque ed è composta di soli sei giudici che propongono due candidati per la presidenza (tra i quali uno è proprio la Przylębska), che sarà poi definitivamente nominata come Presidente.
Se si considera che il nuovo presidente della Corte Costituzionale polacca è espressione del voto di soli sei giudici (tre dei quali selezionati dalla nuova maggioranza) sulla base di un procedimento attuato da un Presidente della Corte ancora una volta di fresca nomina politica, si può ben comprendere perché la Commissione abbia deciso di intervenire in maniera così perentoria in difesa dello stato di diritto.

Del resto, anche alcune leggi recentemente emanate in Polonia, quali quelle sui media, sulle forze di polizia o in materia di anti-terrorismo, fanno sorgere seri dubbi sul rispetto della libertà e del pluralismo dei mezzi di informazione, della tutela della riservatezza così come di altri diritti fondamentali dell’individuo.

La Raccomandazione della Commissione del 21 Dicembre 2016 sullo stato di diritto in Polonia, in .pdf (scaricabile):

Raccomandazione della Commissione UE del 21 Dicembre 2016

 

La terza raccomandazione della Commissione
La Commissione riceve la replica della autorità polacche che non concordano in merito ai punti critici evidenziati nelle precedenti raccomandazioni e non annunciano alcuna nuova azione di riforma.
Anzi, a Luglio 2017 il Presidente della Repubblica nomina, come nuovo Vice-Presidente della Corte Costituzionale polacca, proprio uno dei tre giudici scelti dall’attuale Parlamento per rimpiazzare (incostituzionalmente, secondo la Commissione e la Corte Costituzionale polacca) quelli nominati nella precedente legislatura.
Nel mentre, il Parlamento emana altre quattro leggi di riforma del sistema giudiziario.

A norma di queste nuove leggi, i magistrati tirocinanti possono venire ora assegnati alle corti distrettuali, dove agiscono come giudici monocratici per un periodo di quattro anni. Tuttavia, i magistrati tirocinanti non hanno ancora lo status di “magistrato” vero e proprio e la loro figura non è espressamente prevista nella Costituzione polacca: una semplice legge ordinaria potrebbe così andare a incidere sul loro operato, minandone la garanzia di indipendenza. Inoltre, il Ministero della Giustizia potrebbe comunque indebitamente influenzarli, essendo uno degli organismi coinvolti nella procedura di selezione dei tirocinanti per la loro nomina in magistratura.

Il Ministro della Giustizia ha poi il potere, secondo le nuove norme, di nominare e di rimuovere dalla carica i presidenti dei tribunali, senza che la legge definisca criteri oggettivi alla base di tale decisione né che la stessa sia sottoposta a ulteriore controllo giurisdizionale. I presidenti dei tribunali hanno il potere di controllo sui giudici operanti nella loro sezione (ad esempio il potere di trasferire i giudici o di sanzionarli) e l’intromissione del Ministro della Giustizia nel lavoro dei presidenti configura sicuramente una indebita pressione sul corretto operare dei tribunali, minandone l’indipendenza e la libertà di giudizio.

Inoltre, il Parlamento ha un’altra arma di pressione sui magistrati: secondo la nuova legge, i 15 giudici del “National Council of the Judiciary” polacco (una specie di Consiglio Superiore della Magistratura, col potere di promuovere azioni disciplinari nei confronti dei magistrati e di tutelarne l’indipendenza decidendone promozioni, trasferimenti, pensionamenti anticipati e così via) sono ora tutti di nomina parlamentare.
È inoltre previsto che gli attuali membri lascino il loro posto con effetto immediato.
Cosa potrebbe succedere se un giudice, in attesa di promozione, dovesse imbattersi in un caso politicamente scottante? Potrebbe essere ragionevolmente incline a favorire la maggioranza politica in modo da ingraziarsi i membri del “National Council of the Judiciary”.

Le nuove leggi prevedono anche, oltre al pensionamento anticipato dei giudici ordinari (che si affianca a quello, già attuato, dei giudici costituzionali), la facoltà di estensione del mandato solo per alcuni di essi a discrezione del Ministro della Giustizia, sulla base di criteri definiti “vaghi”.
Ancora una volta si mettono in discussione il principio di irremovibilità dei magistrati (il parlamento li congeda anticipatamente tramite legge ordinaria) e l’indipendenza della magistratura (il Ministro può fare pressioni sui magistrati tramite il suo potere di estensione del mandato).

Infine, le nuove leggi prevedono l’allontanamento e il pensionamento anticipato dei giudici della Corte Suprema polacca, su decisione del Ministro della Giustizia e del Presidente della Repubblica, che si occuperanno anche delle nomine dei futuri giudici. I criteri per la scelta dei futuri giudici della Corte Suprema sono definiti ancora una volta come “vaghi e indeterminati”.

Il Ministro della Giustizia può anche avviare azioni disciplinari dirette nei confronti dei giudici membri della Corte Suprema o influenzare un procedimento disciplinare in atto.

La minaccia sull’indipendenza del sistema giudiziario polacco permane e la Commissione chiede a gran voce, inascoltata, che sia la legge sulla Corte Suprema sia quella sul Consiglio Superiore della Magistratura polacco (“National Council of the Judiciary”) non entrino in vigore.

La Raccomandazione della Commissione del 26 Luglio 2017 sullo stato di diritto in Polonia, in .pdf (scaricabile):

Raccomandazione della Commissione UE del 26 Luglio 2017

 

La quarta raccomandazione della Commissione
Il 28 agosto 2017 il Governo polacco ribatte alla Commissione sottolineando il suo disaccordo nei confronti dei rilievi sollevati.
Il 13 settembre 2017 il Ministro della Giustizia comincia ad esercitare i suoi poteri di rimozione dalla carica di presidenti/vice-presidenti dei tribunali.
Il 26 settembre la Camera (Sejm) riceve dal Presidente della Repubblica due nuove bozze delle leggi sulla Corte Suprema e sul Consiglio Superiore della Magistratura polacco.
Il 24 ottobre la Corte Costituzionale polacca dichiara l’incostituzionalità delle leggi sulla Corte Suprema.
Il 31 ottobre il “National Council of the Judiciary” comunica il suo parere di incostituzionalità in merito alla legge che lo riguarda.
L’8 e il 15 dicembre le due leggi sulla Corte Suprema e sul Consiglio Superiore della Magistratura polacco (“National Council of the Judiciary”) sono approvate rispettivamente dalla Camera e dal Senato.

La Commissione, con la sua quarta raccomandazione, ribadisce come le leggi in vigore avranno l’effetto di pensionare anticipatamente 31 giudici della Corte Suprema su 87 (ovvero il 37%). I nuovi giudici saranno scelti dal Presidente della Repubblica su raccomandazione del “National Council of the Judiciary” (appena rinnovato nella sua interezza su decisione del parlamento), configurando così una indubbia e indebita ingerenza del potere politico nel campo del giudiziario.

Anche per i giudici della Corte Suprema, poi, il Presidente della Repubblica detiene arbitraria facoltà di estensione del loro mandato, senza che vi siano criteri definiti per legge alla base di tale scelta, senza una tempistica certa e senza che l’eventuale estensione sia sottoposta a ulteriore controllo giurisdizionale, palesando ancora una volta come il potere politico polacco non ami particolarmente il principio di separazione dei poteri.

Le nuove leggi approvate prevedono inoltre la possibilità di un “appello straordinario” di fronte alla Corte Suprema: entro tre anni dall’entrata in vigore della legge, la Corte Suprema potrà modificare (anche riformandole completamente) le sentenze emesse dai tribunali polacchi negli ultimi 20 anni in caso “si renda necessario tutelare lo stato di diritto o la giustizia sociale”, con l’eccezione dei casi ricadenti nel campo penale (per i quali vi è il limite di un anno dalla sentenza definitiva) o i casi di matrimonio/divorzio. L’indeterminatezza dei criteri per la revisione delle sentenze preoccupa oltremodo la Commissione che vede messo in pericolo il principio della certezza del diritto (ovvero la immodificabilità del provvedimento del giudice, quando sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti dalla legge o quando non siano più proponibili per il decorso dei termini).

Permangono infine le riserve sulle regole previste per le azioni disciplinari nei confronti dei giudici (sia quelli ordinari sia quelli membri della Corte Suprema): la Corte Suprema verrà divisa in due camere, una demandata a occuparsi degli “appelli straordinari” e una che si occuperà dei “procedimenti disciplinari”. Entrambe le camere saranno composte in maggioranza da giudici di nuova nomina (da parte del Ministro della Giustizia e del Presidente della Repubblica) e, quindi, ragionevolmente influenzate dalla maggioranza politica al potere.

La legge prevede anche che il Presidente della Repubblica possa nominare un “ufficiale straordinario” per l’attivazione di procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici (in aggiunta alle normali procedure già in essere), nonché altre norme vessatorie per la magistratura tra le quali la possibilità di utilizzare nel procedimento disciplinare prove raccolte in violazione della legge.

La Raccomandazione della Commissione del 20 Dicembre 2017 sullo stato di diritto in Polonia, in .pdf (scaricabile):

Raccomandazione della Commissione UE del 20 Dicembre 2017

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