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Il Decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale e il ricorso della Regione Veneto – La Sentenza 5/2018 della Corte Costituzionale

Lo scorso Agosto, veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di conversione del cosiddetto Decreto Lorenzin (Decreto Legge 73/2017) sull’obbligo vaccinale.
Scopo del Decreto era quello di garantire, in maniera omogenea sul territorio nazionale, livelli ottimali di profilassi e di copertura vaccinale per i minori fino a sedici anni di età.

Sia il Decreto Legge che la legge di conversione venivano immediatamente impugnati dalla Regione Veneto che dichiarava di non volersi allineare a quanto disposto dal Decreto, denunciandone inoltre la pretesa incostituzionalità in diversi punti.

Lo stesso Zaia non si era risparmiato nelle sue dichiarazioni alla stampa:
Il Veneto, che non ha l’obbligo vaccinale così come 15 Paesi europei (dalla Germania alla Spagna, dal Regno Unito ai Paesi del nord Europa), ha dimostrato, con una performance del 92,6%, che non è l’obbligo a risolvere il problema, quanto il dialogo con le mamme e le famiglie”. “Questo decreto va oltre l’obbligatorietà, con misure coercitive”. “Le multe, per di più, sono sperequative, dicendo in pratica che chi ha 7500 euro da spendere può rifiutare il vaccino e chi non li ha no. E non agiamo certo per soldi, ma per una questione di principio”.

Quali erano esattamente i motivi del contendere?

Il Decreto Legge n. 73 del 07 Giugno 2017, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2017, n. 119

Il Decreto 73/2017 prevede oggi dieci vaccinazioni obbligatorie e gratuite (inizialmente erano dodici, essendovi incluse anche il meningococco B e C), avendo aggiunto alle quattro storicamente obbligatorie (contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite B), quelle contro pertosse, Hib (influenza), morbillo, rosolia, parotite e varicella.
L’obbligo riguarda i minori di età compresa tra zero e sedici anni, inclusi i minori stranieri non accompagnati.
L’obbligo non è comunque assoluto: il Ministro della salute può con proprio decreto disporne la sospensione alla luce delle risultanze delle verifiche dei dati epidemiologici, delle reazioni avverse e delle coperture raggiunte in Italia.

Quanto alle sanzioni da applicarsi in caso di inadempimento, coloro che non hanno sottoposto i loro figli alle vaccinazioni obbligatorie sono convocati dalla ASL per un colloquio che ha lo scopo di fornire alla famiglia ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e di sollecitarne l’effettuazione.
In caso di inottemperanza, viene comminata una sanzione amministrativa che è stata comunque significativamente ridotta rispetto alla misura prevista nel Decreto Legge originario: si paga ora da un minimo di 100 a un massimo di 500 euro, anziché da “un minimo di 500 a un massimo di 7.500 euro”.
Anche la segnalazione dell’inadempimento alla procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni, è stata soppressa.

Al momento dell’iscrizione del minore a scuola, le istituzioni educative richiedono ai genitori/tutori la certificazione dell’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni o una dichiarazione sostitutiva.
La mancata presentazione di almeno uno di tali documenti è segnalata dai dirigenti scolastici alle ASL.
Il Decreto sottolinea che la presentazione della documentazione costituisce requisito obbligatorio per l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, mentre in tutte le altre scuole la mancata presentazione della documentazione non impedisce né la frequenza delle lezioni, né l’effettuazione degli esami.

Il Decreto Legge 07 giugno 2017, n. 73, convertito con modificazioni dalla Legge 31 luglio 2017, n. 119, in .pdf (scaricabile):

Decreto Legge 07 giugno 2017, n. 73 (versione consolidata)

 

I ricorsi della Regione Veneto

La Regione Veneto deposita due ricorsi, a luglio 2017 e a settembre 2017, impugnando sia il Decreto Legge che la Legge di conversione.

1.
Il primo motivo di doglianza della Regione è la violazione degli articoli 77, 117 e 118 della Costituzione data l’introduzione, mediante decretazione d’urgenza, di ben dodici vaccinazioni obbligatorie (diventate poi dieci dopo la conversione), assistite da “pesanti coercizioni” (tra le quali la sanzione di 7500 euro inizialmente prevista dal Decreto per gli inadempienti), con una decisione tale da giustificare il “travolgimento del programma regionale” basato sul consenso informato e influenzare l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia regionali nonché la garanzia del diritto allo studio.
Mai, nella storia repubblicana, si è intervenuti in questa materia con un Decreto Legge e per introdurre un numero così elevato di nuovi obblighi”.
Saremmo quindi di fronte, secondo la Regione Veneto, a una lesione delle competenze regionali in materia di tutela della salute (organizzazione e funzionamento del Sistema sanitario regionale) e di istruzione.

Secondo la Regione Veneto non vi è inoltre alcuna emergenza sanitaria in corso: l’”immunità di gregge” (ovvero la resistenza collettiva a un patogeno) è assicurata quando in una comunità umana è superata la “soglia critica” individuata per ciascuna patologia in uno specifico contesto.
Secondo l’interpretazione che la Regione fa della relazione di accompagnamento al Decreto Legge, esso fisserebbe tale “soglia critica” al 95 per cento di copertura vaccinale, secondo quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
La Regione contesta la classificazione di tale soglia (il 95 per cento non sarebbe una “soglia critica” ma una “soglia ottimale”), la definisce “del tutto arbitraria, essendo priva di qualsiasi giustificazione scientifica o normativa” e sottolinea come le coperture vaccinali in Veneto, anche se al di sotto del 95 per cento di copertura, abbiano sempre perfettamente funzionato.

Irrealistica e pretestuosa sarebbe infine la rappresentazione del rischio, paventato dal Decreto, di un ritorno delle epidemie del passato o di malattie da tempo debellate.
Non solo, la Regione afferma che il Decreto avrebbe introdotto “una sorta di grottesca “sperimentazione di massa” obbligatoria (…), senza il sostegno di un preventivo sistema di farmacovigilanza e senza una supervisione bioetica”.

2.
L’articolo 32 della Costituzione garantisce la libertà del singolo di non sottoporsi a cure o terapie non scelte o accettate, salvo che ricorra uno stato di necessità per la salute pubblica e comunque nei limiti imposti dal rispetto della persona umana.
In altre parole, i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale alla compresenza di un interesse sanitario individuale o collettivo di pari dignità costituzionale e non altrimenti tutelabile, in una logica di mutuo bilanciamento.
Secondo la Regione Veneto, col Decreto Legge 73/2017 e gli obblighi da esso introdotti, il legislatore non avrebbe bilanciato in modo equilibrato la tutela della salute e l’autodeterminazione personale in materia sanitaria, avendo eccessivamente penalizzato quest’ultima.
Di molto preferibile sarebbe invece il sistema adottato a livello regionale, basato sul consenso informato e sull’alleanza terapeutica (ovvero basato su informazione e persuasione) che ha consentito nel tempo di raggiungere un livello di copertura vaccinale superiore alla soglia critica.
Alla luce di questi risultati, la Regione ritiene irragionevole e sproporzionata la decisione dello Stato di imporre, in modo immediato e automatico, il passaggio da una strategia vaccinale basata sulla convinzione a una basata sull’obbligo.
I bambini, spesso senza una approfondita valutazione specifica della loro condizione (…) vengono portati alle Asl e vaccinati a “spron battuto” come se fossimo in uno stato di emergenza che, soprattutto nella regione Veneto, non esiste”.
Il legislatore avrebbe dovuto, invece, fare ricorso a strumenti alternativi, ugualmente efficaci rispetto all’obiettivo perseguito ma meno penalizzanti per gli altri diritti e interessi costituzionalmente protetti.
La tutela della salute collettiva non è un “valore tirannico” da attuarsi tramite la “scelta tragica della coercizione”, ribadisce la Regione.

3.
Sussisterebbe poi anche una violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., per l’ingerenza governativa nell’organizzazione e nel funzionamento del Servizio sanitario regionale, di cui potrebbe essere compromessa l‘efficacia nell’erogazione dei servizi.
lnfatti, la “irragionevole immediatezza e rigidità” delle norme in questione, anche in presenza di strategie vaccinali già efficaci e più rispettose della libertà di scelta individuale (quali quelle della Regione Veneto), costringerebbe il Servizio sanitario regionale a concentrare i propri mezzi sulla somministrazione dei vaccini, trascurando le altre prestazioni ricomprese nei livelli essenziali.
Sarebbe inoltre compromessa la capacita delle Regioni di erogare i servizi per l’infanzia (art. 31 Cost.), governare la programmazione scolastica e garantire il diritto allo studio (art. 34 Cost.).

4.
Da ultimo, la Regione lamenta una violazione dell’art. 81 Cost., poiché il Decreto Legge non quantifica gli oneri aggiuntivi, né dispone coperture per gli oneri derivanti dalle nuove vaccinazioni rese obbligatorie, in violazione del principio secondo cui non possono essere addossati al bilancio regionale gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla stessa Regione.

Le posizioni della difesa statale

1.
La difesa statale controbatte al primo punto sottolineando come il Decreto Legge legiferi in materia di “profilassi internazionale” (che è competenza legislativa esclusiva dello Stato) e sia motivato da esigenze di “tutela della salute” (art. 117, terzo comma, Cost.) che richiedono “un esercizio accentrato, unitario e coordinato della funzione”, per evitare disomogeneità nella copertura.
Per questo sono state dettate “regole generali ed uniformi destinate a valere per tutti e su tutto il territorio nazionale” (il Decreto Legge intende intervenire sull’intero territorio nazionale e non solo in Veneto), peraltro senza ingerenze nell’organizzazione dei servizi sanitari, che ciascuna Regione adeguerà autonomamente.
Infine, lungi dal violare il diritto all’istruzione, il Decreto è anzi volto a garantirlo, riducendo  l’esposizione dei più vulnerabili a malattie contagiose e debilitanti.

Inoltre, il declino della copertura vaccinale verificatosi in Italia negli ultimi anni è stata la causa dell’insorgere di una vera e propria emergenza sanitaria (ad esempio, è attualmente in corso in Italia un’epidemia di morbillo, che ha causato 3.840 casi e tre decessi) che impone il recupero a livello nazionale dei precedenti livelli di immunizzazione ed esige l‘approntamento di misure e strumenti idonei allo scopo, organici e coordinati.

Infine, la difesa statale sottolinea come il valore del 95 per cento sia l’obiettivo di copertura vaccinale (non la “soglia ottimale” né la “soglia critica”) indicato dall’OMS.
Il fatto che la copertura vaccinale in Italia si sia attestata sotto la “soglia obiettivo”, mette comunque in evidenza un alto rischio e una grave emergenza, tali da giustificare la decretazione d’urgenza.
Le coperture vaccinali sono infatti diminuite e altri strumenti, come le campagne informative, sortiscono i loro effetti solo nel lungo periodo.

2.
Riguardo all’asserita incompatibilità del Decreto Legge con l’articolo 32 della Costituzione, la difesa statale sottolinea come la libertà individuale incontri, in questo caso, il limite dell’altrui diritto alla salute: quando due diritti di pari dignità costituzionale si “scontrano” il meccanismo che viene posto in essere è quello di un equo e ragionevole contemperamento.
La normativa impone quindi al decisore pubblico di prediligere, tra quelle possibili, la soluzione che bilancia meglio la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei benefici.
L’obbligo vaccinale è quindi costituzionalmente legittimo, sottolinea l’Avvocatura dello Stato, poiché tutela la salute sia individuale sia collettiva e poiché il sacrificio dell’autodeterminazione di ciascuno (in questo caso specifico, il sacrificio della libertà nell’esercizio della potestà genitoriale) si giustifica proprio e solo per la necessità di garantire a tutti, in condizioni di effettiva parità, la tutela della salute.
Diversamente, il rifiuto dei vaccini da parte di alcuni, in nome di una malintesa “libertà delle cure”, esporrebbe al rischio di contagio coloro che vengano a contatto con i non vaccinati, ed in particolare nel caso dei bambini in età prescolare.

L’Avvocatura dello Stato sottolinea poi infine come l’uso di un vaccino sia sempre e comunque preceduto dalla verifica di requisiti di qualità, sicurezza, tollerabilità ed efficacia protettiva e associato a una stretta sorveglianza post-marketing per quanto riguarda le reazioni avverse.
Inoltre, considerando i paventati profili di pericolosità di alcuni vaccini, la difesa statale osserva che “come universalmente riconosciuto, i benefici della vaccinazione sono di gran lunga superiori ai potenziali danni causati nelle rarissime reazioni avverse”.

3.
Inammissibili sarebbero pure, secondo la difesa statale, le doglianze relative alle competenze regionali in materia di istruzione e formazione professionale nonché la denunciata compressione dell’autonomia finanziaria regionale, posto che la Regione non ha adeguatamente argomentato come, in concreto, il Decreto abbia gravemente compromesso il rapporto tra i bisogni regionali e i mezzi finanziari per farvi fronte e quali specifiche funzioni regionali siano state indebitamente allocate al livello statale.

4.
In merito al quarto punto, la difesa statale sottolinea che sia le quattro vaccinazioni precedentemente obbligatorie, sia quelle contro morbillo, parotite, rosolia, pertosse e Hib (influenza) sono ricomprese nei livelli essenziali di assistenza sin dal 2001. Non si comprende quindi quali siano gli oneri aggiuntivi derivanti dalle nuove vaccinazioni, lamentati dalla Regione.

La decisione della Corte Costituzionale

1.
Secondo la Corte Costituzionale, le doglianze relative alla violazione degli articoli 77, 117 e 118 Cost. non sono fondate.
Nell’ultimo decennio, dice la Corte, si è consentito alle Regioni di sperimentare una sospensione temporanea degli obblighi legislativi, allo scopo di conseguire la copertura vaccinale esclusivamente attraverso la raccomandazione e la persuasione della popolazione interessata.
Tuttavia, da alcuni anni a questa parte, si e rilevata una tendenza al calo delle coperture vaccinali. Anzi, paradossalmente, proprio il successo delle vaccinazioni, ha indotto molti a ritenerle erroneamente superflue, se non nocive: infatti, al diminuire della percezione del rischio di contagio e degli effetti dannosi della malattia, in alcuni settori dell’opinione pubblica sono aumentati i timori per gli effetti avversi delle vaccinazioni.

Alla luce degli elementi appena evidenziati non può ritenersi che il Governo e il Parlamento abbiano ecceduto i limiti dell’ampio margine di discrezionalità che spetta loro, ai sensi dell’art. 77 Cost., nel valutare i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che giustificano l’adozione di un decreto-legge in materia.
A fronte di una copertura vaccinale insoddisfacente nel presente e incline alla criticità nel futuro, la Corte ritiene che rientri nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire.

Inoltre, nessuno degli argomenti spesi in senso contrario dalla Regione Veneto è convincente.
Anzitutto, dice la Corte, è opinabile il rilievo secondo cui la soglia del 95 per cento dovrebbe considerarsi “ottimale” e non “critica”: una tale distinzione non sembra avere riscontro nella letteratura nazionale e internazionale di settore.
Anche il fatto che non vi sia una crisi epidemica in atto è del tutto irrilevante, considerando che la  copertura vaccinale è uno strumento di prevenzione che richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto.

In merito a una presunta ingerenza e lesione delle competenze regionali, la Corte ammette che la normativa in esame interseca indubbiamente una pluralità di materie, alcune delle quali anche di competenza regionale, come la tutela della salute e l’istruzione.
Tuttavia, la potestà legislativa dello Stato relativa a principi fondamentali in materia di tutela della salute, livelli essenziali di assistenza, profilassi internazionale e norme generali sull’istruzione deve ritenersi chiaramente prevalente: il diritto della persona a essere curata efficacemente deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale predisposta dallo Stato.

Anche le disposizioni in materia di iscrizione e adempimenti scolastici si configurano come “norme generali sull’istruzione” che definiscono caratteristiche basilari dell’assetto ordinamentale e organizzativo del sistema scolastico e che competono quindi allo Stato.
Dinanzi a un intervento fondato su tali e tanti titoli di competenza legislativa dello Stato, chiude la Corte, le attribuzioni regionali recedono, dovendosi peraltro rilevare che esse continuano a trovare spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni.

2.
La Corte ribadisce la necessità di un contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività.
L’obbligo vaccinale è quindi costituzionalmente legittimo poiché la compressione del diritto alla salute del singolo si giustifica con la necessità di garantire a tutti, in condizioni di effettiva parità, la tutela della salute.
Tale contemperamento lascia comunque spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo.
La scelta di una decretazione di urgenza non può quindi essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti, dato che il legislatore è intervenuto in una situazione in cui lo strumento della persuasione appariva carente sul piano dell’efficacia.

3.
Anche la Corte, come la difesa statale, sottolinea come le questioni sollevate in riferimento al terzo punto siano inammissibili per carenza assoluta di motivazione.
La difesa regionale, infatti “non adduce argomenti sufficienti a illustrare perché gli eventuali processi di riorganizzazione sarebbero tali da compromettere il buon andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di tutelare la salute”; il medesimo ragionamento è applicabile anche alle funzioni amministrative attinenti alla scuola e ai servizi per l’infanzia.
Mentre è chiaro che la Regione dovrà cambiare le proprie politiche vaccinali, non è affatto spiegato come e in quale misura il cambiamento dovrebbe compromettere l’efficienza dei servizi sanitari, scolastici ed educativi.

4.
Per quanto concerne le mancate coperture finanziarie, la Corte ribadisce che tutte le vaccinazioni oggi assoggettate ad obbligo di legge erano già incluse nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e, pertanto, erano già finanziate attraverso i normali canali del settore sanitario.
La clausola di invarianza finanziaria prevista dal Decreto non è quindi implausibile, specialmente nel breve periodo; al contempo, si deve ricordare che la legge impone al Ministero dell’economia e delle finanze di monitorare con puntualità e correttezza gli oneri da sostenersi, anche nel caso in cui ricadano indebitamente sui bilanci regionali.

 

La sentenza n.5 del 2018 della Coste Costituzionale, in .pdf (scaricabile):

Corte Costituzionale - Sentenza n. 5 del 2018

 

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