L’espressione “disposizioni anticipate di trattamento” si riferisce a qualsiasi tipo di manifestazione di volontà di un soggetto che, tramite il proprio consenso (o dissenso), decide in merito a trattamenti sanitari futuri cui potrebbe essere sottoposto in situazioni in cui non fosse più cosciente o dovesse aver perso la sua capacità decisionale.
Esse rispondono all’esigenza, da tempo ormai sentita da molti, di garantire la massima tutela possibile alla dignità e all’integrità della persona in tutte quelle situazioni in cui una persona non possa inequivocabilmente dichiarare l’accettazione o il rifiuto di un trattamento sanitario, perché privata delle facoltà cognitive o della sua stessa coscienza, trovandosi così in balia della volontà e delle decisioni di terzi.
Le disposizioni anticipate fanno sì che soggetti adulti e consapevoli possano esercitare il diritto di decidere anticipatamente e autonomamente che trattamenti ricevere, nel rispetto del loro diritto all’autodeterminazione, mettendo così al centro del percorso terapeutico la volontà del paziente.
Già nel 2003 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) aveva tentato di affrontare la questione con un suo Parere dal titolo “Dichiarazioni anticipate di trattamento”.
In tale documento venivano evidenziate alcune criticità relative all’argomento e si fornivano alcune raccomandazioni finali per il legislatore.
Il Parere “Dichiarazioni Anticipate di trattamento” del Comitato Nazionale per la Bioetica del 2003
Il CNB si preoccupa inizialmente di fare luce sui principali dubbi e riserve che, nel dibattito in corso sul tema, vengono avanzate su struttura e modalità di attuazione delle disposizioni anticipate (che il CNB chiamava in maniera meno imperativa “dichiarazioni”).
Uno dei rilievi più frequentemente mossi alle disposizioni anticipate riguarda l’astrattezza di cui questi documenti inevitabilmente soffrirebbero, un’astrattezza e genericità dovuta alla distanza, psicologica e temporale, tra la condizione in cui la dichiarazione viene redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata.
Strettamente collegate al punto che precede sono le critiche relative all’attualità delle disposizioni anticipate di trattamento.
Le decisioni su un ipotetico scenario futuro prese da una persona quando gode di buona salute, al riparo dallo stress causato dalla malattia, potrebbero, secondo i critici, non corrispondere alla reale volontà che il soggetto manifesterebbe, qualora fosse capace di intendere e di volere, nel momento in cui si rendesse necessaria la prestazione terapeutica.
Affidandosi poi solo a quanto indicato nelle disposizioni anticipate, il paziente potrebbe essere privato di ausili indispensabili (quali ad esempio nuove acquisizioni scientifiche o nuove tecniche di trattamento non conosciute ai tempi dell’estensione delle dichiarazioni) che potrebbe invece desiderare qualora la sua volontà potesse confrontarsi con la situazione concreta.
A riguardo va certamente considerato, dice il CNB, che il disponente è pur sempre un soggetto maggiorenne, autonomo, informato e capace di intendere e di volere, oltre che personalmente convinto dell’opportunità di redigere disposizioni anticipate: non si vede quindi perché il “rischio” che egli coscientemente deciderebbe di correre dovrebbe operare nel senso di togliere validità alle sue indicazioni.
Inoltre, la persona chiede, tramite le disposizioni anticipate, che i suoi desideri siano rispettati a condizione che mantengano la loro attualità e cioè solo nel caso che ricorrano le condizioni da lui stesso indicate: si può, infatti, ragionevolmente presumere che nessun individuo intenda incoraggiare attitudini di abbandono terapeutico, privandosi così della possibilità di godere dei benefici dei trattamenti che eventualmente si rendessero disponibili quando egli non fosse più in grado di manifestare la propria volontà.
Il Comitato sottolinea infine come le preoccupazioni per l’astrattezza dovuta alla distanza di tempo e di situazioni debbano essere mitigate dalla previsione che la persona possa in ogni momento revocare le sue precedenti volontà, o modificarle in riferimento agli eventuali mutamenti nella percezione della propria condizione esistenziale determinati dall’esperienza concreta della malattia.
Un ulteriore rilievo spesso avanzato nel dibattito sulle disposizioni anticipate riguarda il loro linguaggio e la loro accuratezza: il disponente farebbe fatica a definire in maniera corretta le situazioni cliniche in riferimento alle quali intenda fornire le disposizioni, cosa che potrebbe essere fonte di ambiguità nelle indicazioni e, quindi, di dubbi nel momento della loro applicazione.
La strategia individuata dal CNB per risolvere queste difficoltà è quella della nomina da parte dell’estensore delle dichiarazioni di un curatore o di un fiduciario.
Il fiduciario deve operare sempre e solo secondo le legittime intenzioni esplicitate dal soggetto nelle sue disposizioni anticipate, per farne conoscere e realizzare la volontà e i desideri.
Resta escluso che il fiduciario possa prendere decisioni che non avrebbero potuto essere legittimamente prese dal paziente stesso.
Vi è poi chi associa l’uso di questo strumento a fini eutanasici.
È fondamentale sottolineare, dice il CNB, come tramite le dichiarazioni anticipate il paziente non sia legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore né acquisisca un diritto soggettivo a morire da far valere nel proprio rapporto col medico.
Le disposizioni anticipate dovrebbero far sorgere in capo al paziente il solo diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace.
Si pensi ad esempio a pratiche non proporzionate alla situazione clinica concreta del paziente, a pratiche di carattere estremamente invasivo o fortemente gravose per la serenità del trapasso.
La definizione di pratiche terapeutiche “non proporzionate” o “gravose” sulle quali il paziente possa liberamente decidere è tuttavia da sempre un argomento divisivo.
Anche all’interno del CNB alcuni membri ritengono che il paziente possa in fondo disporre qualsiasi volontà se consapevole delle conseguenze che derivano dall’attuazione delle stesse, mentre altri configurano l’interruzione di alimentazione e idratazione artificiale come un atto vietato, in quanto classico esempio di eutanasia passiva.
Da ultimo ci si chiede se le dichiarazioni debbano avere carattere vincolante o meramente orientativo.
La valenza etica delle dichiarazioni, afferma il CNB, dipende esclusivamente dal fatto che esse conservino la loro attualità nel processo di autonoma valutazione, operato dal medico, circa la corretta sussistenza nella fattispecie concreta delle precise condizioni indicate dal paziente.
Il medico dovrebbe quindi, secondo il CNB, essere obbligato a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica attuale e, sia che decida di attuarle o meno, esplicitare formalmente e adeguatamente in cartella clinica le ragioni della sua decisione.
Il CNB chiude quindi con raccomandazioni finali in merito alla forma delle dichiarazioni anticipate di trattamento (che abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale) ed esortando il legislatore ad “un intervento legislativo ampio e esauriente, che risolva molte questioni tuttora aperte per quel che concerne la responsabilità medico-legale ed insieme che offra un sostegno giuridico alla pratica delle dichiarazioni anticipate, regolandone le procedure di attuazione”.
Il Parere “Dichiarazioni Anticipate di trattamento” del Comitato Nazionale per la Bioetica del 18 dicembre 2003, in pdf (scaricabile):
CNB - Dichiarazioni anticipate di trattamento_18dic2003
La legge n. 219 del 22 Dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”
La legge n. 219 del 22 Dicembre 2017, in vigore dal 31 gennaio 2018, recepisce le raccomandazioni del CNB, ne risolve alcuni aspetti di ambiguità (quali quelli relativi alla diatriba carattere vincolante/carattere solo orientativo delle disposizioni anticipate o quelli relativi alla definizione di “trattamento sanitario”) e, dopo quindici anni da quel Parere, regala finalmente agli italiani un prezioso strumento di civiltà.
Innanzitutto, l’articolo 1 della Legge 219/2017 mette al centro del percorso terapeutico il paziente e il suo diritto all’autodeterminazione ribadendo che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.
Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha quindi il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso.
Se il trattamento sanitario dovesse essere necessario alla sopravvivenza del paziente, il medico illustra al paziente (ed eventualmente ai familiari) le conseguenze della sua decisione e la annota in cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Anche il minore di età o l’incapace hanno pieno diritto alla valorizzazione delle loro capacità di comprensione e di decisione ed il consenso, in questo caso espresso da chi esercita la potestà genitoriale o la tutela, deve sempre tenere in debito conto la loro volontà.
Resta comunque ferma la possibilità per il paziente di cambiare la propria idea in qualsiasi momento.
Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, poi, il soggetto può anche disporre in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi.
Attraverso le “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT) il soggetto, dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche future, per manifestare il suo consenso/dissenso rispetto a tali interventi che potrebbero essergli proposti in situazioni in cui non fosse più cosciente o dovesse aver perso la sua capacità decisionale.
È essenziale sottolineare come, a fini della Legge 219/2017, anche la nutrizione e l’idratazione artificiale siano adesso considerati come “trattamenti sanitari” (articolo 1, comma 5) risolvendo così una delle diatribe più accese sull’argomento.
Il soggetto indica altresì una persona di sua fiducia, il cosiddetto “fiduciario”, che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie in caso in cui il disponente si trovi privato delle facoltà cognitive o della sua stessa coscienza.
Le DAT devono essere redatte per atto pubblico/scrittura privata autenticata da un notaio oppure con scrittura privata consegnata personalmente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza.
Sono esenti da imposta di bollo o da qualsiasi altro tributo.
Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.
Con le medesime forme sono poi rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale (articolo 1, comma 6).
Le DAT possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso in accordo con il fiduciario solo nel caso in cui esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita (articolo 4, comma 5).
Il medico non opera quindi alcuna valutazione di legittimità sulla scelta etica del soggetto ma si limita, assieme al fiduciario, a verificare la congruenza tra i desideri espressi dal soggetto e la fattispecie concreta.
In caso di conflitto tra fiduciario e medico, la decisione viene rimessa al giudice tutelare.
Il soggetto, come già sottolineato dal CNB, non può comunque esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
Nel caso di uno scenario che dovesse prospettare lo sviluppo di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, a norma dell’articolo 5, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico (ovvero delle disposizioni anticipate di trattamento purtroppo molto meno astratte di quelle previste dall’articolo 4), alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi in una condizione di incapacità o sia impossibilitato a esprimere il proprio consenso.
La legge n. 219 del 22 Dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, in pdf (scaricabile):
Legge 22 dicembre 2017, n. 219 - Disposizioni Anticipate di Trattamento