Una volta appurato quale sia lo Stato membro che abbia la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale presentata dal migrante, si procede con l’esame nel merito.
La domanda è presentata alla Polizia di Frontiera o alla Questura, dopo che la procedura di identificazione effettuata negli “hotspot” è terminata.
Il modulo da riempire (il Modello C/3 – “Verbale delle dichiarazioni degli stranieri che chiedono in Italia il riconoscimento dello status di rifugiato al sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951“) raccoglie informazioni sui dati personali del migrante, sulle modalità del viaggio effettuato per giungere in Italia, sui motivi del viaggio, nonché informazioni sulla presenza di parenti/familiari in altri Stati dell’UE, sul fatto che la domanda di protezione internazionale sia già stata (o meno) presentata in altri Paesi o sul possesso di visti/altri documenti: dati utili, come visto, anche per determinare chi sia competente ad esaminare la domanda.
Non è previsto un termine perentorio per la presentazione della domanda di protezione internazionale: l’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 25/2008 sottolinea infatti che le domande non possono essere respinte solo per il fatto di non essere state presentate tempestivamente.
Le tipologie di protezione internazionale
L’Italia, secondo quanto disposto dalla nostra Costituzione [“Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica” – art. 10], garantisce tre tipi di protezione: lo “status di rifugiato”, la cosiddetta “protezione sussidiaria” se la domanda per lo status di rifugiato non dovesse andare a buon fine e la “protezione per motivi umanitari”.
Il diritto alla protezione internazionale (o diritto di asilo) è peraltro internazionalmente garantito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo [“Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” – art.14].
Lo status di rifugiato
La definizione di rifugiato è rinvenibile all’articolo 1 della “Convenzione relativa allo status dei rifugiati” (cosiddetta Convenzione di Ginevra) del 1951: secondo detto articolo è rifugiato “chiunque, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”.
La medesima regola si applica anche agli apolidi.
Col termine “persecuzione” si intendono ad esempio gli atti di minaccia alla vita, la tortura, o gli atti che, per loro natura o frequenza, possano rappresentare una grave violazione dei diritti umani fondamentali.
La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati:
Convenzione di Ginevra del 1951 (ENG)
Chiunque quindi ricada in una delle casistiche sopra menzionate e tema di essere perseguitato in patria per il colore della sua pelle, per il fatto di appartenere ad un determinato gruppo religioso o ad una minoranza etnica, o per le sue idee politiche può presentare domanda nel nostro Paese per avere riconosciuto lo “status di rifugiato”.
La protezione sussidiaria
La Direttiva 2004/83/CE (recepita con Decreto Legislativo 19 novembre 2007 n.251) dispone che è persona ammissibile alla protezione sussidiaria colui che “non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno” (art. 2).
Tra le ipotesi di danno grave si ricomprendono ad esempio la condanna a morte, la tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante o le minacce alla vita.
La protezione umanitaria
Nei soli casi in cui la domanda di protezione internazionale non venga accolta e si ritenga possano sussistere “gravi motivi di carattere umanitario” (come ad esempio particolari condizioni di vulnerabilità personale come ad esempio motivi di salute), a norma dell’articolo 32 del Decreto legislativo 25/2008, le Questure possono infine rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari, su richiesta della Commissione Territoriale.
La procedura
Una volta che l’ufficio di Polizia di Frontiera o la Questura abbiano ricevuto la domanda di protezione internazionale e l’abbiano verbalizzata, informano il richiedente sui suoi diritti e doveri nonché su come funzioni la procedura per l’esame della sua pratica.
Dopo aver appurato che la competenza all’esame della domanda spetta all’Italia, la domanda è inoltrata alla “Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale” per la valutazione nel merito.
Ad oggi le Commissioni Territoriali sono fissate nel numero massimo di venti e sono composte da un funzionario prefettizio, da un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante degli enti locali e da un rappresentante UNHCR (l’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i Rifugiati).
A norma dell’articolo 12 del Decreto legislativo 25/2008 la Commissione decide se convocare o meno il migrante per ascoltarlo in audizione: può non farlo se ritiene di avere sufficienti motivi per concedere direttamente lo status di rifugiato.
Se il migrante viene convocato, sarà obbligato a presentarsi all’audizione e potrà giovarsi del sostegno di un interprete nonché essere assistito (a sue spese) da un avvocato.
Se il migrante convocato non si presenta e non inoltra nemmeno richiesta di rinvio del colloquio, la Commissione decide sulla base della documentazione disponibile.
Vale la pena sottolineare come l’audizione sia momento centrale del processo decisionale: qui il migrante può esporre nuovamente e compiutamente le ragioni della sua domanda (già inoltrate per iscritto tramite il modulo inizialmente presentato) e la Commissione può acquisire e valutare tutti gli elementi necessari ad una decisione motivata.
Durante l’audizione si affrontano nuovamente e si approfondiscono i temi alla base della richiesta di protezione internazionale: quale sia stato l’itinerario del viaggio, quali siano stati i motivi che abbiano spinto il migrante a lasciare il suo Paese, a quali problemi potrebbe andare incontro in caso di rimpatrio, e così via.
Il colloquio è videoregistrato e trascritto in lingua italiana: della trascrizione del colloquio è data lettura al richiedente in una lingua a lui comprensibile ed in ogni caso tramite interprete.
L’audizione si svolge entro 30 giorni dalla presentazione della domanda (tranne in caso di rinvii) e la Commissione decide nei successivi 3 giorni, a norma dell’articolo 27 del Decreto legislativo 25/2008.
Al termine della procedura, la Commissione può:
– riconoscere lo status di rifugiato al migrante;
– non riconoscere lo status di rifugiato ma concedere al migrante la protezione sussidiaria;
– non riconoscere lo status di rifugiato ma concedere al migrante la protezione per motivi umanitari;
– non riconoscere lo status di rifugiato e rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione;
– non riconoscere lo status di rifugiato e rigettare la domanda per “manifesta infondatezza”, ovvero nei casi in cui la richiesta sia stata presentata solo per ritardare o impedire un provvedimento di espulsione.
Il ricorso
A norma degli articoli 35 e 35-bis del Decreto legislativo 25/2008, avverso la decisione della Commissione è ammesso ricorso in sede giurisdizionale entro 30 giorni dalla data di notificazione della decisione (60 giorni se il ricorrente risiede all’estero).
Il ricorso normalmente sospende l’efficacia del provvedimento impugnato , dando così la possibilità al migrante di restare sul suolo italiano fino alla decisione finale del Tribunale.
Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide con decreto che rigetta il ricorso ovvero con decreto che riconosce al migrante lo stato di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria.
In caso di rigetto, il migrante ha 30 giorni di tempo per proporre ulteriore ricorso in Cassazione, la quale deciderà entro 6 mesi.
L’articolo 35-bis del Decreto legislativo 25/2008, che regolamenta le procedure di impugnazione, è stato recentemente introdotto dal Decreto Legge 13/2017 (il “Decreto Minniti-Orlando”).
Vale la pena sottolineare come, con la finalità di semplificare e velocizzare le procedure, il Decreto 13/2007 abbia:
– eliminato un grado di giudizio: come visto, il ricorso si presenta direttamente in Cassazione e non alla Corte d’Appello;
– accantonato il rito sommario di cognizione e scelto quello camerale, ovvero il procedimento che prevede la trattazione del procedimento in camera di consiglio tramite contraddittorio scritto e delimitando i casi nei quali si prevede l’udienza orale delle parti e dei difensori;
– istituito, presso ogni tribunale ordinario del luogo ove ha sede la Corte di Appello, 26 sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, con lo scopo di occuparsi di tali controversie, incluse quelle per i procedimenti di convalida dei provvedimenti di trattenimento e per l’impugnazione dei provvedimenti sulla competenza in applicazione del regolamento Dublino III.
Questo il testo consolidato del Decreto Legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato“, in pdf, aggiornato alle modifiche apportate dal Decreto Legge 17 febbraio 2017, n. 13 (coordinato con la legge di conversione 13 aprile 2017, n. 46):
DLgs 28 gennaio 2008 n. 25 (consolidato al DL 13-2017)