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Migranti e Ricollocamenti – Il ricorso di Slovacchia e Ungheria bocciato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Mentre gli Stati aderenti al Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) cercano di accaparrare con una mano quanti più fondi strutturali, aiuti e vantaggi di vario genere che l’appartenenza all’Unione Europea garantisce loro, con l’altra mettono spesso e volentieri in discussione le decisioni prese a Bruxelles che richiedono un qualche “sacrificio”.

Ulteriore conferma di come, per questi Paesi, l’Unione Europea sia solo un’opportunità economica molto vantaggiosa, non un progetto politico comune né un laboratorio di diritti.

Slovacchia e Ungheria, sostenute dalla Polonia, si sono infatti recentemente opposte al piano di misure temporanee concepito per il ricollocamento – in altri Stati Membri dell’Unione – di 120.000 migranti, giunti per vie traverse in territorio italiano e greco.
Cosa era accaduto?
La situazione di eccezionalità dei flussi migratori nel Mediterraneo aveva indotto le istituzioni dell’Unione Europea – già nel 2015 – a chiedere misure concrete di solidarietà nei confronti degli Stati Membri in prima linea, quali appunto Italia e Grecia.
Il 22 settembre 2015 veniva così licenziata la Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio: tale proposta prevedeva, in deroga alle regole di Dublino III, il ricollocamento di 120.000 soggetti che avessero presentato la loro domanda di protezione internazionale in Italia e in Grecia, nonché sostegno operativo per l’esame congiunto delle domande d’asilo.
I 120.000 richiedenti dovevano essere ripartiti nei vari Stati dell’Unione secondo le quote indicate negli allegati alla Decisione: 15.600 persone provenienti dall’Italia, 50.400 dalla Grecia e altre 54.000, sempre dall’Italia o dalla Grecia, in proporzione a quanto sopra (ovvero 12.760 dall’Italia e 41.240 dalla Grecia).
Per ciascuna persona ricollocata, lo Stato membro che avesse accolto dei migranti avrebbe ricevuto la somma di 6.000 euro e l’Italia o la Grecia la somma di almeno 500 euro.
La Decisione si applicava alle persone giunte nel territorio dell’Italia e della Grecia a decorrere dal 25 settembre 2015 fino al 26 settembre 2017 e ai richiedenti giunti nel territorio di tali Stati membri a decorrere dal 24 marzo 2015.

La Decisione aveva creato sin da subito qualche scontento: era stata adottata dal Consiglio a maggioranza qualificata e la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Romania e la Repubblica Slovacca avevano votato contro l’adozione di tale proposta.
Non solo: poco dopo, la Repubblica Slovacca (causa C‑643/15) e l’Ungheria (causa C‑647/15), sostenute dalla Polonia, avevano adito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiederne l’annullamento.

Decisione Consiglio UE 2015-1601 (22set2015)

 

È del 06 Settembre 2017 la notizia del rigetto da parte della Corte di entrambi i ricorsi, della conferma della validità delle procedure di ricollocamento e della condanna della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria al pagamento delle spese processuali.

Equilibrata, come sempre, la reazione ungherese: “la decisione della Corte UE di respingere i ricorsi sulle ‘relocation’ dei richiedenti asilo è oltraggiosa e irresponsabile e mette a rischio la sicurezza dell’Europa” (..) “questa sentenza è politica, non giuridica, minaccia il futuro e la sicurezza dell’Europa, è contraria agli interessi delle nazioni e dell’Ungheria“.

Prima ancora di procedere ad esaminare le doglianze dei due Stati Membri vale la pena dare un’occhiata alle cifre.
Secondo la Decisione 2015/1601 del Consiglio, i tre Paesi avrebbero dovuto accogliere, nell’arco di due anni, il seguente numero di migranti:
– l’Ungheria 306 migranti dall’Italia e 988 dalla Grecia, più altri 656 da entrambi i Paesi, per un totale di massimo 2353 migranti;
– la Repubblica Slovacca 190 migranti dall’Italia e 612 dalla Grecia, più altri 1059 da entrambi i Paesi, per un totale di massimo 1950 migranti;
– la Polonia 1201 migranti dall’Italia e 3881 dalla Grecia, più altri 4158 da entrambi i Paesi, per un totale di massimo 9240 migranti.
Non sembrano certo cifre da sconvolgere gli equilibri sociali interni né da creare profonde crisi demografiche e di identità nei Paesi interessati.
Per sgombrare il campo da ogni equivoco, questo è il numero di migranti da loro “ricollocati” dal 2015 al 2017:
– Ungheria: 0 migranti accolti dall’Italia e 0 migranti accolti dalla Grecia;
– Slovacchia: 0 migranti accolti dall’Italia e 16 migranti accolti dalla Grecia;
– Polonia: 0 migranti accolti dall’Italia e 0 migranti accolti dalla Grecia;
[fonte: Commissione EU – Relocation and Resettlement – 13 Giugno 2017]

European Commission - Relocation and Resettlement -13 Jun 2017

 

Ma quali erano, quindi, le ragioni dell’impugnazione?

Tralasciando le molteplici doglianze più di carattere tecnico e procedurale, ve ne sono altre che vale la pena esaminare:
1 – La Repubblica Slovacca lamenta che l’afflusso di cittadini di paesi terzi in Grecia e in Italia al momento dell’adozione della decisione era ragionevolmente prevedibile e non poteva essere qualificato come “improvviso”, dato che già a partire dal 2014 tale afflusso aveva assunto una certa consistenza. Nessuna emergenza, dunque.
Inoltre, relativamente alla situazione in Grecia (ma non stimando certo maggiormente  l’Italia, come si evince da altri passaggi argomentativi), gli slovacchi teorizzano che non sussisterebbe un nesso causale tra la situazione di emergenza e il maggiore afflusso di migranti in quel Paese: questo dipenderebbe  invece – testuali parole – “dalle importanti carenze che l’organizzazione della politica di asilo della Repubblica ellenica mostrerebbe, da lungo tempo“.
Tali carenze, collegate alla mancanza di capacità di accoglienza e di trattamento delle domande di protezione internazionale, avrebbero dovuto essere affrontate e risolte prima di attuare i ricollocamenti. In queste condizioni lo strumento del ricollocamento è “inidoneo a realizzare l’obiettivo“.
Infine la Slovacchia ritiene che il periodo di applicazione di due anni della Decisione sia eccessivamente lungo e non ragionevolmente compatibile con una situazione emergenziale.

In merito al primo punto, la Corte ribadisce come, secondo i dati statistici di Eurostat e dell’EASO, la pressione migratoria sui regimi di asilo italiano e greco sia fortemente cresciuta nel 2015: da Gennaio a Luglio, 39.183 persone hanno chiesto una protezione internazionale in Italia, a fronte di 30.755 nel corso dello stesso periodo dell’anno 2014 (pari a un incremento del 27%) e un analogo aumento del numero di domande è stato registrato in Grecia, che ha dovuto gestire il 30% di richieste in più rispetto all’anno precedente.
Inoltre, secondo l’agenzia Frontex, nel corso dei mesi di Luglio e di Agosto 2015, 34.691 migranti sono arrivati in Italia in maniera irregolare, pari ad un aumento del 20% rispetto ai mesi di Maggio e di Giugno dello stesso anno.
Sulla base di quanto sopra, la Corte ritiene che il Consiglio abbia legittimamente constatato un forte aumento dell’afflusso di migranti che ben poteva qualificare, senza incorrere in un manifesto errore di valutazione, come «improvviso», anche se esso si iscriveva nel solco di un periodo di arrivi già massicci di migranti.

In merito al secondo punto, la Corte sottolinea che l’entità dell’afflusso di migranti era tale che avrebbe perturbato qualsiasi regime di asilo, ivi compreso un regime non contrassegnato da debolezze strutturali.
Inoltre, non si può ritenere che il meccanismo di ricollocamento sia una misura manifestamente inidonea; l’obiettivo primario della Decisione era quello di aiutare Grecia e Italia ad affrontare una situazione di emergenza e la Decisione svolge  esattamente questo compito.

In merito al terzo punto, la Corte ribadisce che la Decisione impugnata contiene elementi di flessibilità, quali la possibilità di apportare modifiche alla stessa tenendo conto “dell’evoluzione della situazione sul terreno e del suo impatto sul meccanismo di ricollocazione“.
Pertanto essa è disegnata per rispondere in maniera rapida ed efficace ad una situazione di emergenza particolare nonché a possibili evoluzioni della stessa e la doglianza della Slovacchia deve essere quindi rigettata.

2 – La Repubblica slovacca, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere che l’obiettivo perseguito dalla Decisione impugnata poteva essere realizzato in maniera altrettanto efficace ricorrendo ad altre misure che avrebbero potuto essere adottate nell’ambito di strumenti normativi esistenti e che sarebbero state meno restrittive per gli Stati membri e meno incidenti sul diritto “sovrano” di ciascuno di essi di decidere liberamente dell’ammissione nel proprio territorio di cittadini di paesi terzi.

La Corte sottolinea che, in un siffatto contesto particolare, la Decisione del Consiglio potrebbe essere censurata dalla Corte soltanto qualora si constatasse che il Consiglio avesse commesso un errore manifesto di valutazione al momento dell’adozione del provvedimento, non avendo optato per un’altra misura meno vincolante ma altrettanto efficace.
Cosa che, data la situazione di emergenza esistente alla data del 22 settembre 2015, non si ravvisa.
Inoltre, la Corte rileva che i meccanismi di ricollocamento previsto dalla Decisione, pur avendo carattere vincolante, si applicano soltanto per un periodo di due anni e riguardano ad ogni modo un numero limitato di migranti, tutti manifestamente bisognosi di protezione internazionale.

3 – L’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, fa valere che poiché, contrariamente a quanto prevedeva la proposta iniziale, non figura più tra gli Stati membri beneficiari, la Decisione non dovrebbe prevedere il ricollocamento di 120.000 richiedenti ma di soli 66.000 richiedenti.

Il retroscena è che, il 9 settembre 2015, la Commissione Europea aveva presentato una proposta iniziale di misure di solidarietà a beneficio di Italia, Grecia e Ungheria (a causa dei flussi di migranti provenienti dalla cosiddetta “rotta balcanica”).
Nelle discussioni che seguivano, tuttavia, l’Ungheria faceva sapere di rifiutare l’idea di essere qualificata come «Stato membro in prima linea», non desiderando pertanto figurare tra gli Stati membri beneficiari dei ricollocamenti.
Le istituzioni europee avevano così preso atto e incluso l’Ungheria tra gli Stati Membri che avrebbero dovuto accogliere nuovi migranti, incrementando anche i numeri a favore delle rimaste Italia e Grecia (che passarono così da 66.000 soggetti da ricollocare a 120.000).
L’Ungheria lamenta che i 54.000 migranti da ricollocare a lei inizialmente assegnati non avrebbero dovuto comparire nella nuova Decisione.

La Corte ritiene invece che, sulla base dello stato emergenziale già descritto nonché di tutti i dati statistici disponibili al momento dell’adozione della Decisione, anche dopo il ritiro dell’Ungheria, occorresse mantenere il totale di 120.000 persone da ricollocare.
Il Consiglio scelse infatti di conservare il numero complessivo di 120.000 persone da ricollocare alla luce della gravità della situazione esistente in Grecia e in Italia nel corso dell’anno 2015, e in particolare nel corso dei mesi di Luglio e di Agosto di quell’anno e, secondo la Corte, non commise alcun manifesto errore di valutazione.
Anche questo ultimo motivo di ricorso viene quindi respinto perché infondato.

Corte Giustizia Europea - Slovacchia-Ungheria vs Consiglio (06set2017)

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