Beck si propone di analizzare dove ci abbiano condotto le scelte effettuate in questi anni in materia di politica europea e quali possano essere gli scenari che ci si prospettano per il futuro.
L’analisi risale al 2012, ma è sicuramente ancora attuale e molto interessante.
Ormai da molto tempo, l’Europa è squassata da un conflitto interno in atto tra due diverse fazioni: coloro che lottano per cambiare le regole attuali e vorrebbero più Europa nelle nostre vite (premendo per trasferimenti di sovranità dalla periferia verso il centro, per una unione politica di stampo federale, per una unione fiscale tra i diversi Stati Membri e così via) e coloro che vogliono invece seguire una politica guidata dalle regole esistenti, senza particolari rivoluzioni.
I primi sono definiti da Beck gli “architetti dell’Europa”, i secondi gli “ortodossi dello Stato Nazionale”.
Il rischio che l’Europa soccomba, schiacciata tra queste due visioni antitetiche, è tangibile e le possibilità di naufragio non sono poi così remote.
Tuttavia, non vi sono al momento grandi spinte per una inversione di tendenza.
Quello che ci ritroviamo tra le mani è soltanto un’Europa a trazione tedesca fondata sulla paura.
Beck conia un’accattivante definizione per identificare la strategia di potere tedesca : il “modello Merkiavelli”, sintesi tra il pensiero politico di Machiavelli e l’idea di potere di Angela Merkel.
Di fronte alla catastrofe incombente, ovvero alla possibilità che il progetto europeo naufraghi, si aprono possibilità (“occasioni”) donate dal “favore dell’ora” che un uomo dotato di potere (“un uomo virtuoso” e “fortunato”) può cogliere.
Ed Angela Merkel le ha colte grazie alla tecnica dell’esitare.
La “merkiavellica” strategia di Angela, infatti, è quella di non prendere univocamente partito e cambiare spesso atteggiamento a seconda dello scenario che si trova di fronte: non è solidale con gli europeisti che chiedono a gran voce che la Germania assuma il ruolo di guida dell’Europa e redistribuisca ricchezza ma non appoggia neanche del tutto gli euroscettici, che vogliono negare ogni aiuto agli altri Stati Membri in difficoltà.
Alla Merkel – in fondo – interessa soprattutto vincere le elezioni nel suo Paese e proteggere il denaro tedesco, non ha ambizioni da grande statista europeo, non si cura particolarmente della sorte dei singoli Paesi debitori: l’importante è mantenere il potere in Germania, se poi anche l’Europa si salva, tanto meglio.
Come ottiene questo risultato?
Adottando la politica del “no calibrato”, col suo atteggiamento apparentemente impolitico ed equidistante: tranquillizza da un lato i tedeschi in politica interna (non dovranno rinunciare ai loro privilegi per salvare le cicale del sud) e dall’altro, in politica estera, finge di accollarsi le responsabilità europee predicando a favore dell’Unione.
Questo le consente di far entrare più di 500.000 rifugiati in Germania, dando l’esempio di illuminato europeismo, senza contraccolpi interni eccessivi e -dall’altro lato- di costringere i partner europei a sottostare alle sue regole di bilancio, pena il loro abbandono al fallimento.
La concessione di qualsivoglia credito o aiuto è infatti subordinata alla disponibilità dei paesi debitori ad adempiere alle condizioni della politica di stabilità tedesca, quella che in Germania è considerata la formula magica dell’economia e della politica: il risparmio al servizio della stabilità dei conti pubblici.
La coercizione avviene così in maniera soft: non si tratta di interventismo diretto, non c’è una strategia adottata alla luce del sole e palese a tutti. Alla Germania, dopo l’esperienza della seconda guerra mondiale, non piace condurre.
È invece un’azione più subdola: è la minaccia di non concedere i crediti necessari, se non ti pieghi alle mie condizioni di bilancio; è la scelta tra l’accettazione del ricatto o la gestione del crollo economico imminente; è l’imposizione di un euro tedesco piuttosto che di nessun euro.
Esitare come mezzo per domare.
Le decisioni, inoltre, non sono mai prese attraverso il percorso della votazione democratica ma sono praticamente solo frutto del peso economico dei soggetti operanti sul palcoscenico europeo.
Cosi facendo invece di un sistema di partecipazione paritario, si instaura un sistema di dipendenza gerarchico, nel quale alcuni attori devono accettare una massiccia perdita di potere, giustificata dall’ “emergenza storica” che stiamo vivendo.
Una decisa inversione di tendenza potrebbe aversi solo con più Europa.
Oggi la concessione dei crediti è legata alla disciplina di bilancio e alle riforme neoliberali, in futuro dovrebbe essere accompagnata a cessione di autonomia dalla periferia al centro, da un nuovo contratto sociale più equo e dalla creazione dell’unione politica.
Sarà mai possibile?
[Ulrich Beck (2013), Europa tedesca, Laterza – 12,00 euro]