Gli azzeccagarbugli maltesi

Sappiamo, dalle quotidiane cronache sui flussi migratori del Mediterraneo centrale, che Malta non ama ricevere rifugiati sulle sue coste e tenta di fare quanto possibile per defilarsi in caso di richieste di sbarco sul suo territorio.

Malta ha ratificato le Convenzioni internazionali sul diritto del mare UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), SOLAS (Safety Of Life at Sea) e SAR (Search and Rescue) e si comporta in conformità al dettato di dette Convenzioni: organizza e mantiene un adeguato ed efficace servizio di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e, in caso una nave in difficoltà sia soccorsa nella zona SAR di sua competenza, si occupa del coordinamento del salvataggio (ad esempio SAR, paragrafo 3.1.1: Parties shall coordinate their search and rescue organizations and should, whenever necessary, coordinate search and rescue operations with those of neighbouring States).

Tuttavia, Malta non ha mai accettato di sottoscrivere gli emendamenti a dette Convenzioni [per SOLAS, l’emendamento MSC 153(78) e per SAR l’emendamento MSC 155(78), entrambi in vigore dal Luglio 2006] né ha mai approvato le “Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare” [MSC 167(78)] del 2004.
Tali nuovi documenti prevedono, tra le altre cose, che lo stato costiero della zona SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti abbia la responsabilità primaria di fornire un “luogo sicuro” o di assicurare che tale luogo venga fornito “within a reasonable time”, in un tempo ragionevole.

Conseguentemente, Malta non si riterrà “primariamente responsabile” in caso non dovesse offrire il suo territorio come primo luogo di sbarco e farà tutto quanto in suo potere per far accollare gli sbarchi agli Stati costieri confinanti, firmatari degli emendamenti .
Se i naufraghi fossero poi recuperati sotto l’egida dell’operazione Frontex-Triton, il luogo di sbarco prescelto sarà su suolo italiano.

La questione va avanti ormai da molti anni ed ha generato non poche tensioni diplomatiche tra Italia e Malta.

Vediamo qualche esempio. I primi casi illustrati risalgono al 2007: Malta rifiuta migranti recuperati in zone SAR diverse dalla sua, indipendentemente dalla nazionalità del naviglio coinvolto nel salvataggio.

Maggio 2007
26 migranti provenienti dalla Costa d’Avorio vengono salvati in mare dal peschereccio spagnolo MONFALCO.
Alcune fonti stimano il recupero dei naufraghi in un luogo distante 100 miglia nautiche sia dalla Libia che da Malta, mentre le autorità maltesi lo collocano in zona SAR libica.
Il peschereccio chiede alle autorità maltesi di poter sbarcare i migranti per soccorso ed identificazione ma Malta rifiuta lo sbarco sul suo territorio in quanto ritiene che la Libia, responsabile della zona SAR di recupero dei migranti, debba fornire la necessaria assistenza di terra.
Non solo, sembra che Malta non tenti nemmeno un contatto con le le autorità libiche per una mediazione sul luogo di sbarco.
I migranti e l’equipaggio della Monfalco vengono quindi lasciati a sé stessi in mare aperto: solo 5 giorni dopo l’accaduto, il peschereccio verrà soccorso dalla Clara Campoamor, nave della guardia costiera spagnola e solo dopo 7 giorni i migranti verranno finalmente sbarcati in Spagna.
Il Consiglio Italiano per i Rifugiati, riporta l’intervista all’allora Ministro dell’Interno Maltese Tonio Borg: “la questione riguarda Spagna e Libia, dato che il salvataggio ha avuto luogo in acque libiche e che i clandestini sono su una nave spagnola. Malta non può accogliere tutti i clandestini che dichiarano di non voler tornare in Libia. Non abbiamo competenza nel caso specifico e non ci assumeremo responsabilità che sono di altri“.

Maggio 2007
Il BUDAFEL, un peschereccio maltese della flotta Azzopardi, incrocia nelle acque libiche e si imbatte in una imbarcazione in difficoltà con a bordo 27 migranti provenienti da Ghana, Nigeria, Camerun, Sudan, Costa d’Avorio, Niger, Senegal e Togo.
I migranti provano ad ormeggiare la loro instabile barca alle boe che sostengono la gabbia per tonni trainata dal Budafel ma si capovolgono; si aggrappano così alla passerella galleggiante della gabbia (50 cm di larghezza) utilizzata dall’equipaggio per dare da mangiare ai pesci catturati.
Il capitano della nave teme di perdere l’intera pesca e non si preoccupa oltre. Fornisce una prima sommaria assistenza ma non fa salire a bordo nessuno e prosegue la sua normale attività lavorativa: i migranti restano così appesi alla passerella per 3 giorni.
Libia e Malta discutono della questione ma nulla si muove: nonostante la nave coinvolta nel salvataggio battesse bandiera maltese, esso aveva avuto luogo in zona SAR libica e Malta non ritiene di dover assolvere alcuna incombenza.
Sarà infine la motonave Orione della marina militare italiana a riportare a terra i 27 malcapitati (Lampedusa) dopo 4 giorni di inferno.
Queste le parole del capitano Charles Azzopardi, come riportate dal Consiglio Italiano per i Rifugiati:
come Maltese sono preparato ad assistere le persone ma c’è un limite a tutto. Cosa sarebbe successo se quegli uomini [una volta a bordo] si fossero ribellati e avessero cercato di assumere il controllo della nave?”. Meglio quindi lasciarli a mollo per 72 ore.

La situazione non migliora col tempo: due anni dopo (2009), Malta si trova coinvolta in due casi simili e rifiuta sbarchi di migranti recuperati nella zona SAR di sua competenza, adducendo scuse di diverso tenore.

Marzo 2009
La nave MINERVA della marina militare italiana chiede autorizzazione alle autorità maltesi ad entrare nel porto della Valletta al fine di sbarcare 76 migranti, tra cui 13 donne, soccorsi in nottata su un gommone alla deriva a 40 miglia a sud di Lampedusa.
Secondo le autorità italiane il salvataggio è avvenuto nella zona di soccorso marittimo (SAR) maltese e conseguentemente, lo sbarco deve effettuarsi sull’isola.
Il governo maltese, tuttavia, non autorizza lo sbarco perché ritiene Lampedusa il “luogo sicuro” più vicino al luogo dell’intervento di salvataggio, che era avvenuto a 116 miglia dalle coste maltesi, e respinge la nave, costretta cosi a fare rotta verso Porto Empedocle.

Aprile 2009
Il mercantile turco PINAR, dopo aver recuperato circa 140 migranti in difficoltà nel Canale di Sicilia (in acque SAR maltesi), chiede a Malta di poter attraccare in uno dei suoi porti per soccorso e identificazione dei migranti ma vede la sua richiesta respinta.
La procedura di soccorso effettuata da Malta è sempre stata la stessa. Abbiamo coordinato tutto come vuole la prassi in situazioni come queste. Ma il porto più vicino è Lampedusa, dunque devono essere trasferiti lì” dichiara il premier maltese Gonzi su Repubblica.
L’Italia, d’altro canto, non intende accettare questo ragionamento e si oppone a sua volta all’attracco del mercantile a Lampedusa: i migranti sono stati recuperati in acque SAR maltesi e devono essere sbarcati là.
Il risultato? Il Pinar resta bloccato nelle acque del Canale di Sicilia.
A bordo c’è anche il cadavere di una donna, i viveri cominciano a scarseggiare e le condizioni igieniche precarie mettono a dura prova sia l’equipaggio che i naufraghi.
Solo dopo 3 giorni l’Italia cede e trasferisce i migranti su una corvetta della Marina militare italiana diretta a Porto Empedocle.
L’Italia, riporta ancora il quotidiano La Repubblica, è giunta “alla determinazione di accogliere in Italia gli immigrati presenti nella nave, tenuto conto della perdurante indisponibilità del governo maltese, malgrado le sollecitazioni rivoltegli dal presidente della Commissione europea Barroso“.

Come si può notare dagli esempi sopra riportati, passano gli anni ma il punto resta lo stesso: non ci sono regole condivise tra i diversi Stati costieri che si occupano di pattugliare il Mediterraneo centrale, soprattutto quando è coinvolta Malta.
Il fatto che Malta non abbi mai aderito alle nuove regole implementate dai suoi vicini 11 anni fa, fa si che i diversi attori parlino lingue diverse quando si deve giungere a un punto comune.

Inoltre, Malta trae indebito vantaggio da questa situazione.
L’argomentazione è sottile, l’equilibrio precario ma il gioco sembra funzionare: Malta non respinge mai ufficialmente i rifugiati in Paesi che li esporrebbero a trattamenti inumani e degradanti (altrimenti agirebbe in violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, da lei ratificata, e violerebbe il “principio di non respingimento” ivi previsto) ma cavilla sulle modalità del salvataggio.
Come visto, c’è (quasi) sempre un valido pretesto o una diversa interpretazione dei fatti che addossa l’onere del salvataggio su altri.

A questo punto, invece che affidarsi alle Convenzioni sul diritto del mare, sarebbe forse molto più efficace concordare delle regole chiare in sede UE, comuni e vincolanti per tutti gli Stati Membri.

A dieci anni di distanza dal caso Monfalco, infatti, la musica non è cambiata.

Agosto 2017
La GOLFO AZZURRO, nave battente bandiera spagnola della ONG Catalana Proactiva Open Arms, recupera tre migranti libici durante un’operazione di soccorso nel Mediterraneo, coordinata dal centro operativo di Roma.
Dopo il salvataggio, la nave avrebbe dovuto sbarcare prontamente i naufraghi in un luogo sicuro per soccorso e identificazione, come previsto dalle Convenzioni internazionali.
Tuttavia, dato che il salvataggio è avvenuto in zona SAR maltese, Roma insiste affinché i tre libici vengano sbarcati a Malta.
Le autorità italiane respingono quindi la nave che chiede di attraccare a Lampedusa e la invitano a chiedere a Malta.
Malta, ovviamente, si guarda bene dall’offrire i suoi porti; come giustificazione adduce il fatto che Lampedusa sarebbe il “porto sicuro più vicino” al luogo di salvataggio e il fatto che l’intera operazione sia stata coordinata dal centro operativo italiano.
Domenica abbiamo ricevuto una richiesta dalla sala operativa di Roma di ricerca di una piccola barca, ci abbiamo messo 17 ore a raggiungerla e a mettere in salvo queste tre persone ma poi Roma ci ha detto di chiamare Malta e Malta si è rifiutata di accoglierci. Da allora Roma e Malta si rimbalzano la palla e noi siamo prigionieri da tre giorni in acque internazionali“, riporta il quotidiano La Repubblica.
La questione si chiude con l’Italia che interrompe il braccio di ferro e permette lo sbarco nel porto più vicino (Pozzallo), quando la nave spagnola si dichiara in sofferenza tecnica dopo 3 giorni trascorsi in alto mare in attesa di una decisione.

Resolution MSC.153(78) (EMENDAMENTO SOLAS 2004)
Resolution MSC.155(78) (EMENDAMENTO SAR 2004)

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