SAR e TRITON – Come funzionano in pratica

Le Convenzioni Internazionali sul diritto del mare prevedono a carico degli Stati costieri l’istituzione e il mantenimento di specifiche “zone di ricerca e salvataggio”, sia nelle loro acque territoriali sia nelle acque internazionali ad esse adiacenti.
All’interno di quelle zone, ogni Stato costiero è responsabile dei servizi di “ricerca e soccorso” di imbarcazioni in difficoltà.
La zona SAR di competenza di uno Stato, inoltre, può essere liberamente definita, non dovendo forzatamente corrispondere con le frontiere marittime esistenti.

Questa è la situazione attuale della ripartizione delle zone SAR tra Italia, Tunisia, Libia Grecia e Malta, disponibile nelle “EPSC Strategic Notes” della Commissione Europea del 06 Febbraio 2017:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vale la pena notare quanto la zona SAR di Malta sia estesa rispetto al territorio dell’isola e alle sue capacità di pattugliamento, nonostante la convenzione SAR riporti chiaramente al paragrafo 2.1.8 che gli Stati costieri debbano assegnarsi un’area SAR di estensione tale da garantire una pronta risposta alle chiamate di emergenza (“parties should arrange that their search and rescue services are able to give prompt response to distress calls”).
Malta ha infatti preteso unilateralmente che la zona SAR di sua competenza fosse coincidente con la propria “Flight information region” (eredità coloniale inglese; i britannici erano infatti titolari di questa ampia zona di controllo del traffico aereo), senza disporre tuttavia di una adeguata dotazione navale per coprirla interamente.
Il risultato? Il fatto che la Guardia Costiera italiana o altre imbarcazioni debbano intervenire anche nell’area di supposta competenza maltese per non lasciare a sé stessi i navigli in difficoltà in quel tratto di mare.

Le zone SAR sono state pensate per la gestione fisiologica dell’emergenza in mare, tant’è che per assistere coloro che si trovano in pericolo si fa tradizionalmente affidamento su mercantili e pescherecci che incrociano nella zona.
Sono uno strumento che funziona bene se le operazioni di salvataggio hanno carattere sporadico.
In situazioni di flussi patologici, come quelli che stiamo sperimentando, il sistema SAR viene invece messo a dura prova.
L’operazione Triton (cosi come Mare Nostrum in precedenza) nasce proprio con la finalità di supportare le ordinarie operazioni di ricerca e soccorso, pattugliare le frontiere e, ovviamente, migliorare i risultati in termini di salvataggio di vite umane.

Proviamo a vedere cosa succede in pratica.

Scenario 1 – Attività “Search and Rescue” standard
Una imbarcazione battente bandiera italiana si imbatte in una nave di migranti in difficoltà nella zona SAR Italiana.

Sappiamo che esiste un obbligo di prestare immediata assistenza alle imbarcazioni in difficoltà: il salvare vite umane è infatti prioritario rispetto ad altre esigenze, quali il contrasto all’immigrazione clandestina.

La nave dovrà quindi intervenire e soccorrere l’imbarcazione, “nella misura in cui sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri” [UNCLOS, ART.98] e indipendentemente dalla nazionalità dei soggetti in difficoltà, del loro status o delle circostanze nelle quali essi vengono trovati.
Il salvataggio però non si conclude qui: il fatto di avere trasferito i soggetti su una nuova nave, non esaurisce gli obblighi dei soccorritori, che devono ora sbarcare “prontamente” i migranti in un “luogo sicuro”.

Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS [MSC 153(78)] e SAR [MSC 155(78)], entrati in vigore a Luglio 2006, nonché le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare [MSC 167(78)] prevedono infatti che lo stato costiero della zona SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti abbia la responsabilità primaria di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito “within a reasonable time”, in un tempo ragionevole.
Tali emendamenti sono stati pensati ed approvati proprio per alleviare la responsabilità del capitano della nave che ha prestato soccorso e a permettergli di portare a termine il salvataggio in sicurezza con una deviazione minima della rotta inizialmente prevista.

Il comandante informerà quindi il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Maritime Rescue Coordination Centre, MRCC) responsabile per la zona SAR, fornendo dati sull’identificazione della nave che sta prestando assistenza, sulla situazione di emergenza e sulle azioni già compiute, sullo stato dei sopravvissuti, se ci sia qualche migrante che intenda inoltrare richiesta di asilo, e così via.
In questo caso specifico, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo sarà quello italiano, che fornirà istruzioni per lo sbarco in un “porto sicuro” (in Italia) delle persone soccorse.
Si procederà poi a primo soccorso, identificazione delle persone ed esame di eventuali domande di asilo.

Scenario 2 – Attività “Search and Rescue” standard
Una imbarcazione battente bandiera italiana si imbatte in una nave di migranti in difficoltà nella zona SAR maltese.

Come nello scenario precedente, il comandante presterà assistenza ai naufraghi e contatterà il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo responsabile per la zona SAR maltese.

A questo punto, il processo subirà molto probabilmente un arresto.

Malta comunicherà di non aver mai ratificato gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS [MSC 153(78)] e SAR [MSC 155(78)] né, tantomeno, di aver mai approvato le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare [MSC 167(78)].
Conseguentemente, Malta si sentirà vincolata solo agli obblighi definiti nei testi originari delle Convenzioni: dato che la nave in difficoltà è stata soccorsa nella zona SAR maltese, Malta si occuperà del coordinamento del salvataggio (SAR, paragrafo 3.1.1: Parties shall co-ordinate their search and rescue organizations and should, whenever necessary, co-ordinate search and rescue operations with those of neighbouring States) ma farà tutto quanto in suo potere per rifiutare sbarchi sul suo territorio.
In quanto responsabile del coordinamento, indicherà molto probabilmente al comandante della nave di dirigersi verso un porto italiano, scelta in fondo scontata se le alternative sono uno sbarco in Libia o in Tunisia.

Con quali giustificazioni Malta rifiuterà lo sbarco sul suo territorio, nonostante il salvataggio sia avvenuto nella zona SAR di sua competenza?

Potrebbe argomentare, ad esempio, che i porti maltesi non costituiscono un «primo porto sicuro di attracco» e che, dato che i porti italiani si trovano più vicini al luogo dell’intervento di salvataggio, a livello umanitario e di sicurezza sarebbe più ragionevole dirigersi là: come visto, avendo un area SAR pari a circa 750 volte il territorio dell’isola, questo può capitare spesso.
Oppure, potrebbe iniziare una diatriba col comandante della nave e/o con gli Stati marittimi confinanti in merito all’esatto punto del luogo di salvataggio, non riconoscendolo all’interno delle acque SAR maltesi ma dichiarandolo in acque internazionali o in zona SAR italiana: se diamo un altro sguardo alla cartina, vediamo che l’area SAR maltese si sovrappone a quella italiana in diversi punti. Questo perché Malta non ha mai negoziato la sua area SAR con gli Stati confinanti ma la ha semplicemente imposta.
In questo caso, Malta potrebbe quindi rispondere: il salvataggio è stato effettuato da nave italiana in area SAR italiana o in acque internazionali, la questione non è di nostra competenza.

In altri termini, tutto quanto possibile verrà messo in campo da Malta per evitare “un pericoloso precedente per la piccola isola” che, in caso dovesse far attraccare ai suoi porti anche una sola imbarcazione con pochi migranti in difficoltà, potrebbe trovarsi invasa la prossima volta da “una nave con 400 migranti a bordo” [Corriere di Malta – 09 Agosto 2017].

Scenario 3 – Triton
Si ha notizia di una nave di migranti in difficoltà nel tratto di mediterraneo pattugliato da Triton.

Se l’operazione dovesse invece ricadere sotto il cappello di Triton, tutte le attività saranno gestite dal MRCC di Roma, in collaborazione col Centro di Coordinamento Internazionale (ICC).

L’area pattugliata da Frontex per l’operazione Triton è un’area molto vasta, che copre la zona SAR italiana e maltese, spingendosi fino a 138 miglia nautiche a sud della Sicilia.
I mezzi a disposizione di Triton si compongono al momento di 9 imbarcazioni italiane, 3 maltesi, 10 battenti diverse bandiere (tedesca, britannica, francese, svedese, norvegese, islandese, irlandese), più due elicotteri britannici e un aeroplano finlandese.

Una volta ricevuta notizia di una imbarcazione in difficoltà, tramite per esempio una chiamata SOS o da informazioni fornite dalle truppe aeronavali Frontex impiegate nell’operazione, l’MRCC decide quali siano le unità navali meglio posizionate per procedere al salvataggio e le inviano a soccorrere i migranti in difficoltà.
Potrebbero essere navi della Guardia Costiera Italiana, mezzi di appoggio Triton, navi delle ONG o financo navi commerciali presenti nella zona.

L’autorità che coordina i soccorsi (in questo caso l’MRCC di Roma), sarai poi colei che dovrà identificare il luogo di sbarco (il “porto sicuro”) dove procedere a assistenza e identificazione delle persone ed esame di eventuali domande di asilo.
Nel caso di Triton, sappiamo sarà (praticamente) sempre un porto italiano.
Cosi recita infatti l’Allegato 3 al Piano Operativo Triton (22 Ottobre 2014):
The participating units are authorized by Italy to disembark in its territory all persons intercepted and apprehended in its territorial sea as well as in the entire operational area beyond its territorial sea. It shall be ensured that coordination and cooperation with the relevant SAR authorities is carried out in such a way that the persons rescued can be delivered to a place of safety in Italy.
Il Piano Operativo prescrive anche una collaborazione tra Italia e Stati Membri per identificare anche altri “luoghi sicuri” oltre ai porti italiani anche se, in caso la questione vada per le lunghe e si ecceda il “ragionevole”, l’Italia è sempre il posto di elezione per lo sbarco.
“Italy and the participating Member States shall cooperate with the responsible RCC and the MOl – Central Directorate for Immigration and Border Police- National Coordination Centre-, to identify a place of safety and, when it will be designated such a place of safety, they shall ensure that disembarkation of the rescued persons is carried out rapidly and effectively. If it is not possible to arrange for the participating unit to be released of its obligation to render assistance as soon as reasonably practicable, taking into account the safety of the rescued persons and that of the participating unit itself, it shall be authorized to disembark the rescued persons in Italy”.

A volte sono invece le ONG che, appostate proprio a ridosso della acque territoriali libiche, intercettano i barconi di migranti e contattano l’MRCC per ottenere istruzioni.
Indirettamente, quindi, l’area di competenza Triton tende a spostarsi fino al confine delle acque territoriali libiche.

In questo caso, tuttavia, se i migranti sono stati recuperati da mezzi non Frontex in acque libiche o maltesi, senza che sia stato loro preventivamente richiesto un intervento da parte del MRCC di Roma, lo sbarco in Italia non dovrebbe essere automatico ma sottoposto a ulteriore autorizzazione delle autorità italiane.

Maggiori informazioni sono anche disponibili nella scheda informativa della Commissione Europea “How does Frontex Joint Operation Triton support search and rescue operations?“, qui allegata.

How does Frontex Joint Operation Triton support search and rescue operations

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